L’imperativo di un nuovo umanesimo

Di seguito propongo la lettura del paragrafo L’imperativo di un nuovo umanesimo” di Aurelio Peccei dal libro Lezioni per il XXI secolo.

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Nell’ottobre 1974 il Club di Roma tenne a Berlino Ovest la sua riunione plenaria, durante la quale fu ufficialmente presentato  il secondo rapporto al Club, “Strategie per sopravvivere” di Mihajlo Mesarovic ed Eduard Pestel. Commentando il volume nella sua autobiografica intellettuale “La qualità umana”, Peccei scrive: “Esso riflette la situazione dell’umanità alla metà degli anni Settanta e pone la drammatica alternativa: o si crea una società veramente globale, su basi di solidarietà e di giustizia, di diversità e di unità, di interdipendenza e di quella che oggi si chiama self-reliance (cioè contare sovrattutto su se stessi) oppure ci troveremo tutti, nel migliore di casi di fronte a una disintegrazione del sistema umano accompagnata da catastrofi regionali e, alla fine, forse, da una catastrofe globale. A tale conclusione sono giunti i gruppi di Mesarovic e Pestel dopo tre anni di vaglio scientifico delle prospettive umane”. Qui di seguito presentiamo l’introduzione di Peccei alla sessione plenaria di Berlino Ovest del 14-15 ottobre 1974.

Ci troviamo ormai al Sesto Meeting Annuale da quando il Club di Roma è stato fondato nell’aprile del 1968, sei anni e mezzo fa, un periodo di tempo veramente molto breve in termini storici, Tuttavia, osservando in prospettiva la situazione mondiale, si percepisce che in tale breve periodo essa è peggiorata fino a far scattare l’allarme.
Come prima cosa, la popolazione della Terra è aumentata vertiginosamente. Conservatorismo, dogmatismo e superficialità possono confondere la questione: ma la dura realtà è che le ormai superate strutture politiche e sociali mondiali stanno cedendo sotto la pressione dell’incremento demografico e della congestione che ne deriva; la produzione  e la distribuzione di viveri e lo sviluppo economico in generale non hanno retto a questa sfida. Nel contempo, l’ambiente e il clima mondiale sono ormai entrati in una fase meno propizia. Così, l’assoluta povertà e lo squallore sono ora la sorte comune di popolazioni più vaste di quanto non fosse qualche anno fa, mentre le disparità si accentuano sempre più. Lo spettro biblico della carestia è riapparso infliggendo inedia, precarie condizioni di salute morte a molta più gente di qualsia altro tempo passato. Il numero di uomini malnutriti, ammalati, analfabeti, disoccupati o altrimenti emarginati alla base della società, invece di ridursi, in questo periodo è drasticamente aumentato. La speranza di una migliore qualità della vita ha abbandonato molte regioni.
Anche nei paesi più ricchi, milioni di individui sono nella morsa della disoccupazione e dell’incertezza molto più che in passato. Ci sono voluti solo alcuni anni perché l’economia mondiale andasse alla deriva, se stesse fondamenta del commercio internazionale fossero capovolte e i sistemi monetari costituissero un dilemma. I paese industrializzati sono talmente esaltati dal petrolio a basso prezzo da affermare che tale abbondanza costituisce la causa principale della loro prosperità e la promessa di un futuro di costante espansione. Ora tutte le nazioni con scarse riserve di energia devono misurarsi con la pressante necessità di ristrutturare sostanzialmente la propria economia.

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Casa

La scorsa puntata di Petrolio dal titolo Che tempo fa affronta i temi dei cambiamenti climatici mostrando parti del documentario di Leonardo Di Caprio Before the Flood e intervistando vari esperti italiani presenti in studio.

La presentazione ci dice che: Già all’inizio di questa estate siccità, erosione costiera, fenomeni estremi come incendi e inondazioni, hanno riempito le pagine dei giornali. Una situazione drammatica che stiamo già pagando a caro prezzo. Riusciremo a uscire da questa situazione? Riusciremo a consegnare ai nostri figli un mondo ancora vivibile senza doverci vergognare per quello che stiamo facendo?

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Guardando la trasmissione mi è tornato in mente Home (2009), un documentario molto suggestivo su ambiente e cambiamento climatico di Yann Arthus-Bertrand, e prodotto da Luc Besson. Concepito come un reportage di viaggio, è realizzato quasi interamente con immagini aeree. Lo ripropongo, suggerendone la visione.

(..) “Nella grande avventura della vita sulla terra, ogni specie ha il suo ruolo, ogni specie ha il suo posto. Nessuna è inutile o dannosa. Tutte contribuiscono all’equilibrio. È allora che tu homo sapiens, uomo pensante entri in scena. Raccogli i benefici della meravigliosa eredità di 4 miliardi di vita della terra. Hai soltanto 200 mila anni, ma hai cambiato la faccia del mondo. Malgrado tu sia vulnerabile hai preso possesso di ogni habitat e conquistato interi territori come nessuna specie aveva mai fatto. Dopo 180 mila anni di nomadismo, grazie ad un clima più clemente, l’uomo si ferma. Non dipende solo dalla caccia per sopravvivere, cerca di stabilirsi in zone umide che abbondano di pesce, selvaggina e piante selvatiche, luoghi in cui la terra, l’acqua e la vita si armonizzano.” (..)

(..) “Abbiamo provocato fenomeni che non possiamo controllare. Fin dalle nostre origini, acqua, aria e forme di vita erano intimamente collegate, ma di recente abbiamo spezzato questi legami. Affrontiamo la realtà, dobbiamo credere a quello che sappiamo. Quello che abbiamo appena visto è il riflesso del comportamento umano. Abbiamo plasmato la Terra a nostra immagine. Ci resta poco tempo per cambiare. Come farà questo secolo a portare il peso di 9 miliardi di esseri umani se ci rifiutiamo di fare i conti con tutto quello che solo noi abbiamo fatto?”

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