La mia esistenza si era sviluppata o solo accumulata?

È uscito qualche giorno fa il film L’altra metà della storia, trasposizione cinematografica del libro Il senso di una fine di Julian Barnes, uno dei migliori romanzi che abbia letto negli ultimi anni.
Anche se la trama del film è semplificata ed addolcita rispetto a quella del libro, non è affatto male e vale la pena vederlo.

La storia è relativamente semplice. Immaginatevi giovani. Te (Tony), la tua ragazza Veronica e il tuo migliore amico Adrian. Le cose però non vanno come desidereresti, ti lasci, e poi la tua ex ragazza si mette con il tuo migliore amico. Non la prendi bene. Preso da un momento di rabbia scrivi ad entrambi una lettera molto cattiva: “[…] beh, quel che è certo è che siete fatti l’una per l’altra, perciò vi auguro tanta felicità. Spero che invischiate tanto da rendere il reciproco danno permanente. Spero che possiate rimpiangere il momento in cui vi ho fatto incontrare. E spero che quando vi lascerete – perché è inevitabile che succeda, vi do tempo sei mesi, che la vostra comune presunzione trasformerà in un anno, col che vi incasinerete anche di più, ve lo garantisco – dobbiate affrontare un’intera vita di amarezza che avvelenerà tutti i vostri rapporti successivi. Una parte di me si augura anche che facciate un figlio, perché credo ciecamente nella vendetta del tempo, già, per la generazione prossima e quella a seguire. […].
Personalmente, [Veronica] non posso nuocerti, ora come ora, ma ci penserà il tempo. Sarà il tempo ad avere l’ultima parola. È sempre così.
Ricevete pertanto i miei più sentiti auguri, e possa una pioggia acida cadere copiosa sulle vostre sante e indissolubili teste”.

Dopo poco tempo Adrian si suicida. Te vai avanti con la tua vita e non ci pensi più. Ti sposi, lavori al ministero, fai una figlia, divorzi, rimani in buoni rapporti con la tua ex moglie, vai in pensione, hai i tuoi hobby. Una vita come tante altre.

Ad un certo punto però ricevi un eredità. È da parte della mamma (appena scomparsa) di Veronica. Ti lascia un diario e dei soldi, e ti dice che in fondo gli ultimi mesi di vita di Adrian erano stati felici. Il diario però non c’è. Sembra lo abbia preso Veronica. Poi però lei ti dice che lo ha bruciato.
E qui iniziano i tuoi dubbi e le tue domande, che ti porteranno a cercare nel passato i pezzi mancanti della storia ed a scoprire il “senso di una fine” solo alla fine, in una sorta di amara e mesta epifania.

Leggendo il libro avevo riflettuto su come a volte i nostri pensieri, le nostre parole ed azioni si possano rivelare dei macigni inimmaginabili anche a distanza di tempo. Meglio allora stare sempre attenti a come usarli, soprattutto con le persone che abbiamo amato.

Come ci ricorda il libro, la nostra vita è solo parte di una storia ancora più grande e di cui sappiamo solo una piccola parte. Una storia diversa per ognuno che si incontra, e che vive fintanto che qualcuno vivente se la ricorda.
Per Adrian la storia era “quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione”, e così nella lettera a beneficio del coroner dava conto delle sue ragioni per essersi suicidato: “la vita è un dono elargito non a seguito di una qualsivoglia richiesta; l’essere pensante ha il dover filosofico di esaminare sia la natura dell’esistenza, sia le condizioni in cui essa si manifesta; e, infine, se tale persona decide di rinunciare al suddetto dono elargito senza essere stato richiesto, è suo dovere umano ed etico agire di conseguenza”.

Di seguito riporto un piccolo estratto del libro dove Tony si pone una domanda a cui ognuno dovrebbe dare risposta.

[…] Mi sono ritrovato a paragonare la mia vita a quella di Adrian. Alla sua capacità di guardarsi dentro, di assumere posizioni etiche e di agire di conseguenza; al coraggio mentale e fisico del suicidio. “Si è tolto la vita”, si dice; ma Adrian se n’era fatto carico, assumendone il comando e prendendola nelle sue mani per poi lasciarla andare. Quanti tra noi – noi che restiamo – possono dire di aver fatto altrettanto? Procediamo a casaccio, prediamo la vita come viene, ci costruiamo a poco a poco una riserva di ricordi. Ecco il problema dell’accumulo, e non nel senso inteso da Adrian, bensì nel semplice significato di vita che si aggiunge a vita. E, come ricorda il poeta, c’è differenza tra addizione e crescita.
La mia esistenza si era sviluppata, o solo accumulata? Era questa la domanda che il brano di Adrian mi aveva fatto scattare dentro. Di addizioni – e di sottrazioni – ce n’erano state, ma che dire delle moltiplicazioni? E questo mi procurò un senso di disagio, di irrequietezza. […]