estratto da Lavorare gratis, lavorare tutti (2017) di Domenico De Masi
(..) Oggi molti disoccupati che vivono nei Paesi ricchi escludono – si illudono di escludere – dal loro orizzonte temporale il pericolo di finire alla mensa della Caritas. In parte questa fiducia è dovuta al fatto che un americano o un europeo, per quanto povere, comunque dispone di un prodotto interno lordo pro capite di gran lunga superiore a quello del poverissimo abitante del Terzo mondo (basti pensare che il Pil pro capite negli Stai Uniti è di 54.000 dollari, in Italia di 36.000 dollari, nel Burundi di 268 dollari).
Ma questa fiducia è dovuta anche al fatto che questa prima generazione di disoccupati in massa è composta da figli di genitori occupati o pensionati che gli assicurano la sopravvivenza. Ma la prossima generazione di disoccupati sarà composta da figli disoccupati di genitori disoccupati e a quel punto, caduto il welfare familiare, o si mette mano a una riorganizzazione generale della società, o la convivenza umana è destinata davvero a diventare un serraglio hobbesiano in cui ogni uomo è lupo per l’altro uomo e non esiteranno più Paesi in cui si potrà scappare sperando di trovarli vivibili e di trovarvi lavoro.
Cert’è che il tasso di disoccupazione nell’Unione europea è passato dal 7% del 2006 l 12% del 2016. In Italia, nello stesso decennio, è salito dall’8% al 13,5%. Quanto alla disoccupazione giovanile, che in Europa è al 22%, in Italia è impennata dal 16% del 2006 al 38% del 2016. (..)