Il più grande successo dell’Euro

“Noi prendiamo una decisione in una stanza, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo di vedere cosa succede. Se non provoca proteste o rivolte, è perché la maggior parte delle persone non ha idea di ciò che è stato deciso; allora noi andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno.”
Jean-Claude Juncker, Der Spiegel, 27 gennaio 1999


tratto da Il più grande successo dell’Euro

“Il grande successo dell’euro”: così Mario Monti nel 2011 definiva la Grecia, all’epoca già colpita da una grave crisi economica e sottoposta a programmi di austerità che non davano segni di efficacia.
E in effetti i greci nel film raccontano di una nazione relativamente prospera che retrocede a paese in via di sviluppo. Una distruzione di ricchezza mai vista in tempo di pace: la disoccupazione è al 26% e il sistema sanitario nazionale è precluso ad un terzo dei cittadini. In questo scenario, la sicurezza di un pasto diventa il primo obiettivo per una grande parte della popolazione.
L’avvento dell’euro rese improvvisamente la Grecia il paradiso dei prestiti, mentre oggi la realtà parla di pignoramenti impietosi. Proliferano le mense di strada e il numero dei senzatetto aumenta. “Non può accadere per caso” – commentano medici e pazienti – che uno stato europeo lasci i suoi malati senza farmaci salvavita. Una conseguenza emblematica e assurda dell’austerità, imposta per salvare la Grecia e che invece scatta come una trappola, letteralmente, mortale.
Come si è arrivati a questo? Nel film lo ricostruiscono alcuni studiosi. Vladimiro Giacché e Alberto Bagnai descrivono l’euro come uno strumento che ha fatto saltare i delicati equilibri europei a tutto vantaggio degli investitori internazionali e dei sistemi industriali nazionali che già erano più forti. Alcuni dati sono paradossali: la Grecia, forte nell’agroalimentare, negli anni dell’euro diventa importatore netto dalla Germania nel settore. Il collasso appare innescato dal debito privato e non da quello pubblico, come solitamente si crede. “La gestione della crisi riflette un approccio ideologico”, premette Bagnai, citando il vice-presidente della Bce, il quale, proprio ad Atene, ammise il fallimento delle teorie economiche applicate all’eurozona. I buoni livelli di giustizia sociale raggiunti nel ‘900 ora sono spazzati da un nuovo paradigma, secondo l’antropologo Panagiotis Grigoriou. Alla fine l’espressione di Monti, così stridente, appare in una luce diversa: l’euro è un successo per pochi. Oggi il fallimento dell’euro è un dato ormai ampiamente riconosciuto: al centro dell’analisi politica ed economica resta la ricerca di una via d’uscita dalla crisi.

L’€uropa è stata un pieno successo

Parte finale del bellissimo articolo 60 ANNI DAL TRATTATO DI ROMA: L’€UROPA E’ STATA UN PIENO SUCCESSO del 24 marzo 2017 di Luciano Barra Caracciolo

(…) 8. D’altra parte, se cade la premessa solidaristica, cade tutto il resto del discorso sulle prospettive di riavvio del processo in forme solidali (ma come? Volute e esplicitate da chi?) che, nella realtà giuridico-istituzionale dell’eurozona non si sono mai presentate e neppure sono mai state contemplate. Non è la “nazionalizzazione” il problema che porta alla crisi dei rapporti tra paesi aderenti alla moneta unica e, in realtà, a maggior ragione, con quelli che non vi aderiscono. E’ proprio l’ordinario agire applicativo dei trattati.

La verità che trapela prepotente da tutto questo quadro pare oggettivamente essere un’altra.
La Germania, abbiamo visto potenza vincitrice della competizione commercial-industriale cui ha portato l’assetto esplicitamente antisolidaristico dei trattati, non si considera “in crisi”
E, con essa, al netto del problema cultural-sociologico dell’immigrazione, neppure l’Olandacome conferma il senso ultimo delle contestate dichiarazioni di Djisselbloem, appunto endorsed da Schauble senza alcuna riserva.
E dunque, i vincitori, all’interno del processo europeista che, data l’importanza decisiva dei rapporti di forza che i trattati internazionali tendono inevitabilmente ad amplificaretenderanno ad affermare ulteriori evoluzioni in senso ancora più stringente verso l’affermazione del “loro” modello di “integrazione”
La stessa “europa a due velocità” non è altro che un modo di affermare che i paesi “irrevocabilmente” (come lo stesso Draghi ha tenuto a ri-precisare) dentro l’eurozona sono il vero e unico bersaglio pratico delle prospettive di accelerazione del modello attuale. Senza alcun compromesso possibile. 

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