L’ultimo uomo del Rinascimento

Nel bellissimo libro 23 Cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo l’economista coreano Ha-Joon Chang si pone come obiettivo primario quello di svelarci i falsi miti economici del mondo in cui viviamo. In particolare la sua critica è rivolta contro il capitalismo neoliberista che ha dominato il mondo negli ultimi trent’anni, con il risultato di ritrovarci con un’economia globale a pezzi e con una crisi economica e sociale che non sembra trovare fine.

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Il libro attraverso 23 capitoli – ognuno dei quali tenta di chiarire con ricchezza di fatti, dati ed esemplificazioni uno specifico tema – vuole fornire al lettore gli strumenti per capire come funziona il capitalismo e come potrebbe funzionare meglio. Ed anche se gli argomenti trattati non hanno risposte semplici, “finché non affronteremo questi argomenti, non potremo realmente comprendere come funziona il mondo. E finché non lo comprenderemo, non saremo in grado di difendere i nostri interessi, né tanto meno migliorare lo stato delle cose in qualità di cittadini economicamente attivi”, sottolinea l’autore nell’introduzione.

Nel capitolo 16 l’autore tenta di spiegarci perché non siamo abbastanza intelligenti da lasciar fare al mercato, e che quindi abbiamo bisogno di regole proprio perché non siamo abbastanza intelligenti.

Riporto la maggior parte del paragrafo L’ultimo uomo del Rinascimento, incentrato su Herbert Simon.

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Le prospettive economiche per i nostri nipoti di J.M. Keynes (1930)

estratti da Le prospettive economiche per i nostri nipoti di J.M. Keynes (1930).

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#STEFANO BOSSO PH, N.Y. 2016


(..) La depressione che domina nel mondo, l’atroce anomalia della disoccupazione in un mondo pieno di bisogni, i disastrosi errori che abbiamo commesso ci rendono ciechi di fronte a quanto sta accadendo sotto il pelo dell’acqua, cioè di fronte al significato delle tendenze autentiche del processo. Voglio affermare, infatti, che entrambi i contrapposti errori di pessimismo, che sollevano oggi tanto rumore nel mondo, si dimostreranno errati nel corso della nostra stessa generazione: il pessimismo dei rivoluzionari, i quali pensano che le cose vadano tanto male che nulla possa salvarci se non il rovesciamento violento; e il pessimismo dei reazionari i quali ritengono che l’equilibrio della nostra vita economica e sociale sia troppo precario per permetterci di rischiare nuovi esperimenti.

In questo saggio, tuttavia, mio scopo non è di esaminare il presente o il futuro immediato, ma di sbarazzarmi delle prospettive a breve termine e di librarmi nel futuro.

Quale livello di vita economica possiamo ragionevolmente attenderci fra un centinaio d’anni? Quali sono le prospettive economiche per i nostri nipoti?

(..) Per il momento, la rapidità stessa di questa evoluzione ci mette a disagio e ci propone problemi di difficile soluzione. I paesi che non sono all’avanguardia del progresso ne risentono in misura relativa. Noi, invece, siamo colpiti da una nuova malattia di cui alcuni lettori possono non conoscere ancora il nome, ma di cui sentiranno molto parlare nei prossimi anni: vale a dire la disoccupazione tecnologica. Il che significa che la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera.

Ma questa è solo una fase di squilibrio transitoria. Visto in prospettiva, infatti, ciò significa che l’umanità sta procedendo alla soluzione del suo problema economico. Mi sentirei di affermare che di qui a cent’anni il livello di vita dei paesi in progresso sarà da quattro a otto volte superiore a quello odierno. Né vi sarebbe nulla di sorprendente, alla luce delle nostre conoscenze attuali. Non sarebbe fuori luogo prendere in considerazione la possibilità di progressi anche superiori. 

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