Di seguito l’estratto “Manifesto pigro” tratto dal libro del 1996 di Steve Mizrach Manifesto X (tit. orig. Slackers Manifesto).
La nostra generazione non sa neppure come chiamarsi. “Ventiqualcosa” è appena un termine descrittivo. Il termine baby busters indica che siamo il fallimento dopo i boomers, la brezza leggera dopo il terremoto giovanile, il grande tracollo demografico.
Forse ha ragione Douglas Coupland quando ci chiama generazione X.
Non per Malcom, ma perché siamo inqualificabili: un assoluto fattore x. Paradoxali. Nessuno sa chi parla per noi, quale nicchie di mercato occupiamo, quali sono le cose più vicine ai nostri cuori.
Rappresentiamo un enigma per i nostri predecessori, e forse lo saremo anche per la generazione che ci seguirà: i cosiddetti figli del millennio, nati dopo il 1981.
La generazione X è fatta di slackers, hackers (prehackers, cyberpunk, neuoronauti) e new jackers, quella gioventù urbana sempre disponibile e profeta della Hiphoprisy [cfr. The Disposable Heroes of Hiphoprisy].
Siamo ravers e surfisti Atari, settantofili che zoomano avanti e indietro senza un posto dove andare.
Secondo la maggior parte dei demografi conosciamo meglio la cultura pop e la strada, un po’ peggio i classici, l’etica e le materie principali (e in particolare geografia, educazione civica e storia: dove, in poche parole, sembra che siamo una disgrazia accademica).
Molti di noi non leggono, né votano e sono certi di non averne alcuna intenzione.
I sondaggi dicono che siamo più propensi ad affrontare rischi, intenzionati a fare cose che con ogni probabilità si risolveranno in un autodanneggiamento, e più materialisti dei nostri predecessori, i boomers.
Dicono che siamo meno ambiziosi, meno idealisti, che abbiamo meno principi morali, meno interessi e meno disciplina di ogni generazione precedente di questo secolo.
Siamo la generazione con più aborti, carcerati, suicidi; la più incontrollabile, indesiderata, imprevedibile della storia. (Così almeno sostengono gli autori della tredicesima generazione).
Se si dà un’occhiata alle organizzazioni politiche che aggregano la nostra generazione, non si vedranno yippies, SDS, diggers, o weathermen [Organizzazioni politiche americane nate negli anni ’60-70. Tra tutti i weathermen si distinguevano per l’estremismo delle loro posizioni, spesso sfociati in pratiche di azione diretta (n.d.t.)].
Al posto loro ci sono gruppi come Lead or Leave e Rock the Vote, che al massimo del loro radicalismo spiegano alla gente di votare contro la censura e di chiedere ai politici di assumersi l’impegno di ridurre il deficit o di lasciare l’incarico.
É tutta qui la coscienza sociale, è tutto qui il radicalismo della nostra generazione? Dare la colpa ai vecchi e ai pensionati per una crisi di deficit che non hanno creato? Contrapporre i giovani ai vecchi? Sicuramente possiamo fare di meglio! Ci sono venti e più gruppi lì fuori che combattono per i senzatetto, che lavorano per l’ambiente e che lottano per una riforma dell’insegnamento ma di chi i media non sembrano accorgersi mai. Se volessimo veramente il problema del deficit dovremmo occuparci di titoli e, allo stesso tempo, fare i conti con la voracità onnivora delle spese militari..
La buona notizia è che siamo una generazione che crede poco alle chiacchiere e molto all’azione. Rifuggiamo ideologie e dogmi a favore di un pragmatismo essenziale in tutti i campi della vita. Siamo meno prevenuti e meno sessisti di ogni generazione precedente, eppure i sondaggi dimostrano, stranamente, che siamo facilmente soggetti al bigottismo.
In quanto generazione, molti di noi sentono il dovere di riportare ordine nella confusione lasciata dai nostri predecessori.
La nostra attenzione è rivolta più al futuro che al passato – siamo stanchi di tutto questo schifo di nostalgia “retrò”.
La maggior parte di noi detesta la propria infanzia e la cultura di scarto di quel periodo (nonostante questa sembri essere continuamente riciclata in film e in spettacoli tipo Brady Bunch) [La più nota serie televisiva americana degli anni 70 (n.d.t.)] ed è restia a vedere la propria vita familiare come qualcosa di idilliaco o come “gli anni più belli della mia vita”.
Siamo rabbiosamente indipendenti ed auto-motivati, in grado di ottenere qualsiasi cosa vogliamo in qualsiasi circostanza.
Disprezziamo i New Agers dei nostri tempi – non per i grandi ideali che sbandierano ma perché non riescono mai a realizzarli.
Siamo i partigiani del Nuovo limite, intenzionati a esplorare nuovi luoghi, a trascendere i vecchi confini, a pensare più in grande di chiunque altro.
Nonostante il fatto che, come generazione, sembriamo aver accettato uno standard di vita peggiore di quello dei nostri genitori, presi uno per uno esprimiamo un ottimismo personale Quasi incredibile “Ce la farò, costi quel che costi”.
ODIAMO essere categorizzati, trattati come massa indistinta o etichettati.
Anche questa lunga lista di generalizzazioni risulta composta solo di approssimazioni – tendenze che qualche Xer, da qualche parte, si sta scrollando di dosso.
Nessuno sa quale musica ci piace: rap, punk, progressive, industrial, acid house, eurotrash, technorave, hip-hop, world beat, o niente di tutto questo.
Non c’è niente che ci definisca come il Rock’n’Roll fece con i boomers.
Le statistiche sui nostri consumi portano i mercanti a listeria; le loro pubblicità sostengono di sapere che cosa ci piace e come siamo, ma si sbagliano sempre.
Anche i nostri credo politici trascendono le definizioni. La maggior parte di noi vive con la massima che “ogni politica è locale”. Sentiamo di essere nati dopo che due grandi rivoluzioni sono cominciate, finite e riassorbite.
La rivoluzione sessuale ci ha lasciato il divorzio l’AIDS, l’herpes, stupri all’ordine del giorno e gravidanze adolescenziali alle stelle. Al posto dell’esplorazione della sessualità, c’è rimasto il caos sessuale.
Per di più sembra che nessuno di noi si scambi più degli appuntamenti. Certo, facciamo ancora del sesso, ma non ci innamoriamo più. La rivoluzione delle droghe ci ha lasciato il crack, il PCP e l’eroina. Le bande giovanili di oggi sono troppo preoccupate per il loro territorio per aver voglia di turn on and tune out [Slogan che negli anni ’60, invitava all’assunzione di LSD. Letteralmente “Sballati e stacca la spina” (n.d.t.)]. Siamo più “conservatori” dei nostri genitori solo nel senso che sentiamo che hanno affrontato le loro rivoluzioni nel modo sbagliato. Qualcuno di noi cerca ancora l’amore libero e Il vero viaggio mentale, ma vogliamo farlo meglio dei boomers: questo è il nostro motto.
Tra noi c’è chi prevede un vero e proprio stato di guerra generazionale con i boomers. Personalmente non credo. Ma tutto sommato penso che il nostro odio per i boomers sia gelosamente nascosto. Figurarsi: una generazione che credeva di poter cambiare il mondo!
Siamo fortunati se riusciamo a sopravvivere: credere a una cosa così sorprendente è fuori discorso. Riconosco di invidiare i boomers. Le cose di cui mi interesso – l’espansione della coscienza, la liberazione dell’uomo, una società veramente giusta, equa e imparziale, un mondo unito e in pace, l’umano progresso e la diffusione della tecnologia – sembrano una rivisitazione degli slogan degli anni ’60. Gli scopi sono rimasti gli stessi, ma completamente differenti.
Noi siamo più furbi; loro vestivano i loro slogan apertamente, noi li nascondiamo.
Non per impedire agli altri di vederli, ma perché sappiamo che l’invisibilità è un’arma.
Alcuni demografi hanno assegnato alla nostra generazione un penoso compito “retrò”.
Dicono che ripristineremo i “valori familiari” dopo l’attacco alla famiglia degli anni ’60 e ’70. Che restaureremo i valori “comunitari” degli anni ’50 – quando tutti si fidavano dei propri vicini e lasciavano le porte aperte perché potessero entrare – dopo i crimini e la disintegrazione civile degli anni successivi. Che riporteremo la dignità di quegli anni – , sapete, quando la gente era pulita, ordinata, disciplinata, uniforme, ecc. NO! In realtà noi figli degli anni ’70 non riporteremo gli anni ’50 fra di noi.
Al contrario faremo sembrare il caos degli anni ’60 roba da bambini – perché lo era. Siamo qui per portare il cambiamento – improvviso e traumatico se vi saremo costretti. Siamo pronti a sanare ogni frattura: tra gli uomini e la natura, tra gli uomini e la tecnologia, e soprattutto tra l’uomo e l’altro.