L’uomo, la prima specie auto-minacciata

Di seguito un estratto del capitolo tratto dal capitolo Sette miliardi di umani nell’Antropocene: cambiamenti ambientali e scenari di popolazione di Telmo Pievani da Verso la metà del secolo. Un’Italia più piccola di Neodemos:

[…] Secondo Edward O. Wilson e i suoi colleghi statistici e matematici di Harvard che hanno fatto i conti e le simulazioni, per fermare la traiettoria della Sesta Estinzione di massa basterebbe smettere di devastare metà della superficie terrestre, oceani inclusi*. Adesso siamo intorno al 18% di aree protette e la proposta non è quella di svuotare metà della Terra (oceani compresi) dalla popolazione umana, bensì quella di coniugare lo sviluppo sociale ed economico con una stringente salvaguardia ambientale in almeno la metà del pianeta, interrompendo l’azione nefasta e concertata dei sei fattori di cui sopra. Utopistico? Dipende. Certo, non è facile investire denaro e prendere un impegno etico a favore di qualcuno che ancora non esiste, ma bisognerà armarsi di immaginazione e provarci. Tutto sommato, potrebbe essere un modo intelligente per differenziarci dai dinosauri.
Le estinzioni di massa (purché rare) fanno un gran bene all’evoluzione, perché liberano spazio ecologico e favoriscono il ricambio delle specie. Il problema è che raramente i dominatori della fase precedente sono anche i dominatori nella successiva. La grande livellatrice passa e chi ne fa le spese di solito è chi era più specializzato alle regole ecologiche antecedenti. Se non modificheremo radicalmente i nostri modelli di sviluppo predatorio, quindi, per Homo sapiens dovremo coniare una nuova categoria della International Union for Conservation of Nature (IUCN), cioè quella di un organismo che distrugge gli ambienti con cui viene in contatto al punto tale da mettere a repentaglio non solo la biodiversità che incontra, ma anche la sua stessa sopravvivenza su un pianeta che, per il momento e per molto tempo ancora, è e resterà l’unico a disposizione. Proponiamo che la sigla IUCN sia S.E.self-endangered species. Non è una categoria molto onorevole. Si dice che l’alce irlandese (che poi non era alce e non era irlandese) si sia estinto anche a causa della crescita abnorme dei suoi palchi di corna: la selezione sessuale ha preso troppo il sopravvento sulla sopravvivenza ecologica. Sarà, ma l’alce irlandese non si era auto-proclamato sapiens e non si è accorto che stava contribuendo alla propria estinzione. Noi invece saremo la prima specie auto-minacciata e per di più consapevole di esserlo. Non è un record invidiabile. […]

*Wilson, E.O., Metà della Terra, Torino, Codice Edizioni, 2016.

LIving Planet Report 2018

Uscito da poco il Living Planet Report 2018 del WWF.

Qui intero in inglese. Qui sintesi in italiano.

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L’Indice del Pianeta Vivente (Living Planet Index) è un indicatore dello stato della biodiversità globale, elaborato dal WWF e dalla Zoological Society of London, che ci segnala quindi lo stato di salute della biodiversità del nostro pianeta. Pubblicato per la prima volta nel 1998, per due decenni ha registrato l’abbondanza di 16.704 popolazioni di oltre 4.000 specie di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi (gli animali vertebrati) in tutto il mondo.
L’Indice analizza i trend di queste popolazioni, selezionate in maniera scientifca, quale misura dei cambiamenti nella biodiversità. In questa edizione 2018, la ventesima del Living Planet Report, l’indice include i dati dal 1970 al 2014 e mostra un declino globale del 60% nella dimensione delle popolazioni di vertebrati che, in pratica, significa un crollo di più della metà in meno di 50 anni.

L’imperativo di un nuovo umanesimo

Di seguito propongo la lettura del paragrafo L’imperativo di un nuovo umanesimo” di Aurelio Peccei dal libro Lezioni per il XXI secolo.

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#stefanobosso ph. Molen ter Claere Sint Denijs 2017


Nell’ottobre 1974 il Club di Roma tenne a Berlino Ovest la sua riunione plenaria, durante la quale fu ufficialmente presentato  il secondo rapporto al Club, “Strategie per sopravvivere” di Mihajlo Mesarovic ed Eduard Pestel. Commentando il volume nella sua autobiografica intellettuale “La qualità umana”, Peccei scrive: “Esso riflette la situazione dell’umanità alla metà degli anni Settanta e pone la drammatica alternativa: o si crea una società veramente globale, su basi di solidarietà e di giustizia, di diversità e di unità, di interdipendenza e di quella che oggi si chiama self-reliance (cioè contare sovrattutto su se stessi) oppure ci troveremo tutti, nel migliore di casi di fronte a una disintegrazione del sistema umano accompagnata da catastrofi regionali e, alla fine, forse, da una catastrofe globale. A tale conclusione sono giunti i gruppi di Mesarovic e Pestel dopo tre anni di vaglio scientifico delle prospettive umane”. Qui di seguito presentiamo l’introduzione di Peccei alla sessione plenaria di Berlino Ovest del 14-15 ottobre 1974.

Ci troviamo ormai al Sesto Meeting Annuale da quando il Club di Roma è stato fondato nell’aprile del 1968, sei anni e mezzo fa, un periodo di tempo veramente molto breve in termini storici, Tuttavia, osservando in prospettiva la situazione mondiale, si percepisce che in tale breve periodo essa è peggiorata fino a far scattare l’allarme.
Come prima cosa, la popolazione della Terra è aumentata vertiginosamente. Conservatorismo, dogmatismo e superficialità possono confondere la questione: ma la dura realtà è che le ormai superate strutture politiche e sociali mondiali stanno cedendo sotto la pressione dell’incremento demografico e della congestione che ne deriva; la produzione  e la distribuzione di viveri e lo sviluppo economico in generale non hanno retto a questa sfida. Nel contempo, l’ambiente e il clima mondiale sono ormai entrati in una fase meno propizia. Così, l’assoluta povertà e lo squallore sono ora la sorte comune di popolazioni più vaste di quanto non fosse qualche anno fa, mentre le disparità si accentuano sempre più. Lo spettro biblico della carestia è riapparso infliggendo inedia, precarie condizioni di salute morte a molta più gente di qualsia altro tempo passato. Il numero di uomini malnutriti, ammalati, analfabeti, disoccupati o altrimenti emarginati alla base della società, invece di ridursi, in questo periodo è drasticamente aumentato. La speranza di una migliore qualità della vita ha abbandonato molte regioni.
Anche nei paesi più ricchi, milioni di individui sono nella morsa della disoccupazione e dell’incertezza molto più che in passato. Ci sono voluti solo alcuni anni perché l’economia mondiale andasse alla deriva, se stesse fondamenta del commercio internazionale fossero capovolte e i sistemi monetari costituissero un dilemma. I paese industrializzati sono talmente esaltati dal petrolio a basso prezzo da affermare che tale abbondanza costituisce la causa principale della loro prosperità e la promessa di un futuro di costante espansione. Ora tutte le nazioni con scarse riserve di energia devono misurarsi con la pressante necessità di ristrutturare sostanzialmente la propria economia.

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Il discorso di una bambina – Rio 1992

Nel 1992, a Rio de Janeiro un gruppo di giovani fondatori dell’ECO (l’organizzazione dei ragazzi per l’ambiente) è stato invitato ad esprimersi davanti alle Nazioni Unite. Una bambina di 12 anni, Severn Cullis-Suzuki, tiene un appassionato (ed ancora attuale) discorso per sensibilizzare i grandi della Terra riguardo le problematiche ambientali che rischiano sempre più di mettere in pericolo la vita delle generazioni future.

Quanto è cambiato da allora?

Di seguito il discorso intero.

Buona sera sono Severn Suzuki e parlo a nome di ECO, (Environmental Children Organization). Siamo un gruppo di ragazzini di 12 e 13 e cerchiamo di fare la nostra parte: Vanessa Suttie, Morgan Geisler, Michelle Quaigg e io. Abbiamo raccolto i nostri soldi per venire in questo posto lontano 5000 miglia per dire alle Nazioni Unite che devono cambiare il loro modo di agire.

Venendo a parlare qui oggi non ho un agenda nascosta, sto solo lottando per il mio futuro. Perdere il mio futuro non è come perdere un elezione o alcuni punti percentuali sul mercato azionario.

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