Leggere il dolore sulle foglie

Di seguito gli ultimi due paragrafi del capitolo Imago patris: fallimento e realizzazione dell’eredità” di Massimo Recalcati tratto dal libro Eredi (AA.VV., 2012).

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[…] Il padre trasmette l’eredità non quando mostra di detenere l’ultima parola sul senso del mondo, ma quando sa proporre una soluzione singolare, quella che egli stesso ha trovato nella sua vita, per tenere insieme Legge e desiderio. La sua testimonianza non ha niente di esemplare perché la sua efficacia non consiste nel rispecchiare un modello ideale, ma nell’incarnare  singolarmente la possibilità di esistenza di un’alleanza tra desiderio e Legge.

 

 

6. Evaporazione e resistenza del padre

Il nostro tempo, affermava Lacan, è il tempo dell’evaporazione del Padre. Il nome del padre non ha più forza né consistenza, ha smarrito la sua autorevolezza simbolica. In Habemus papam di Nanni Moretti il balcone di piazza S. Pietro appare sconsolatamente vuoto, le tende battute dal vento. Nessun Padre-papa è più in grado di prendere la parola. Afasia, afonia del grande Altro. Il Padre-papa ha paura, è terrorizzato, si trasforma in un bambino che piange convulsamente. Il sacco del Nome del padre è vuoto. Il tempo del Padre come manifestazione analogica di Dio in terra si è irreversibilmente esaurito. Il cielo sopra le nostre teste è vuoto, affermava Sartre. Non vi possiamo più prelevare una bussola certa capace di orientare il cammino delle nostre vite. Dobbiamo piuttosto provare a ripensare il padre a partire dalla sua evaporazione. Allora la domanda cruciale diviene: cosa resta del padre, cosa resta del padre nel tempo della sua evaporazione? E mi rispondo così: quello che resta non è l’ultima parola sul senso del mondo, sul senso del bene e del male, sul senso della vita e della morte, ma l’atto del portare la parola, del saper dare la parola, del saper portare il fuoco della parola. Quello che resta del padre nel tempo della sua evaporazione è un atto di responsabilità in pura perdita. Una responsabilità che non vive di rendita, che non può più usufruire di alcuna autorevolezza veritativa e padronale, perché quella autorevolezza e quella padronanza sono definitivamente tramontate. Quello che resta del padre è una responsabilità che si deve ricostruire “dai piedi”, dalla testimonianza incarnata di cosa può essere alleanza tra il desiderio e la Legge.
L’etica della testimonianza paterna non è l’etica dell’ideale del Padre. Ripetiamolo: una testimnianza non è ideale, non vuole essere mai esemplare. Se lo diventa è perché il soggetto la riconosce come tale solo retroattivamente. La paternità è invece una responsabilità senza proprietà, una responsabilità illimitata. È un atto d’amore. Cos’è, infatti l’amore se non una responsabilità senza diritto di proprietà? Quanto amore ci vuole per sapere lasciare andare i propri figli? Quanta responsabilità senza alcun senso di proprietà – quanto amore senza interesse –  quanta responsabilità illimitata ci vuole per lasciarsi tramontare?

7. Leggere il dolore sulle foglie

Un padre è al di là del sangue e della biologia, ma è anche al di là del genere, del sesso. Un padre è innanzitutto l’incontro possibile con una testimonianza. C’è un padre dove c’è testimonianza incarnata di come sia possibile tenere insieme Legge e desiderio. Qualunque cosa può essere un padre. Qualunque cosa può tornare dal mare. Un allenatore di pugilato lettore della Bibbia – come è Frankie di One million dollar baby di Clint Eastwood – un vecchio pensionato, un maestro, una madre, la lettura di un classico, un’opera d’arte, uno psicoanalista… L’eredità non è eredità di sangue, ma eredità di una testimonianza. In questo senso ogni paternità è sempre adottiva. Tutto l’ultimo cinema di Eastwood esalta questa dimensione della trasmissione del desiderio al di là del sangue. Qualunque cosa, qualunque incontro contingente, può portare con sé il dono dell’alleanza tra Legge e desiderio
Mio padre compie ottant’anni. Camminava davanti a me con il passo di un gigante, le domeniche mattina, quando andavamo a visitare i bancali della serra dove giacevano doloranti le sue piante malate…. Il suo italiano incerto e il suo dialetto milanese lasciavano allora misteriosamente il posto al latino. In quella lingua antica pronunciava i nomi delle malattie delle sue piante. Leggeva sulle foglie (morsicate da insetti invisibili dai nomi misteriosi, o invase da muffe e da maculature spettrali) le loro malattie, per poi preparare le pozioni magiche per il loro trattamento. Mi sono trovato a riferire a questo ricordo infantile, più volte, il mio spiccato gusto per la diagnosi psicopatologica. Leggere gli uomini è per me un po’ come leggere le foglie malate per trovare la via giusta della cura. L’eredità del padre è l’eredità di una passione. Leggere il dolore sulle foglie: mi sono accorto di non aver continuato a fare altro che questo. Ereditare è scoprire di essere diventato quello che che ero già sempre stato, fare proprio quello che era proprio da sempre. Ha ragione Telemaco: qualcosa torna sempre dal mare.