Gli ingegneri sono psicologicamente costruiti come dei buoni soldati, di cui si apprezza l’affidabilità. Il rigore li ottunde e dunque non soffriranno distrazioni.
Non avendo un bagaglio culturale ingombrante, non porranno problemi di lana caprina, e sopratutto non si interstardiranno in discussioni senza costrutto. L’ingegnere è solido per definizione e attento alla gerarchia. Non gli hanno insegnato a discuterla.
È la sua scala concettuale che lo predispone alle priorità e se la priorità è quella di arrivare, la strumentazione adeguata non sarà per lui un problema.
La favola della rigidità degli ingegneri va sfatata: gli ingegneri non sono rigidi che in seconda battuta, a protezione di quello che loro pensano di aver capito una volta per tutte; quando lo hanno capito.
E se il vero obiettivo è quello della carriera, una volta compreso a chi sta in mano il loro destino, saranno rigidissimi nell’assecondarlo.
Con il vantaggio di mettere a disposizione dei loro capi una vera mitologia della competenza; a sfatare, una volta per tutte, che per avanzare serva solo flettersi senza rompersi.
Ma se l’ingegnere è un buon prototipo per percorsi senza ostacoli verso un successo annunciato (a patto di non far emergere tentazioni carsiche a orientare la loro rigidità strutturale intorno a principi etici di ambigua valenza), da tempo il suo primato viene insidiato dalle coorti di laureati in Economia. E qui, a dispetto delle conseguenze occorre essere chiari.
La laurea in Economia, in sé, non dice quasi nulla. Predispone semplicemente a imboccare piste multiple che non aiutano certo a fare selezione.
In questo settore, se non sei bocconiano non sei nessuno. E non tanto per la diversità con cui, lì, ti marchino didatticamente, quanto per l’ambiente che hanno saputo creare: il più simile che si è dato incontrare alla giungla dell’impresa.
Un buon bocconiano impara presto a lottare, a farsi avanti con il coltello fra i denti; a non avere inutili rispetti.
La Bocconi, in questo è una vera scuola di guerra. Tanto di cappello.
È vero che ci sarà chi soccombe, come in ogni guerra che si rispetti.
Ma vuoi mettere lo stile e la prosopopea di chi riuscirà a sopravvivere?
Per lui le porte saranno tutte aperte: ha lo stigma del vincente. Una perfetta apertura di curriculum, la sua, da manuale.
È vero, e va detto per chiarezza, che cominciano a esserci non oche organizzazioni che diffidano del prodotto bocconiano. Ma noi possiamo garantirlo: è solo questione della mediocrità di prospettive che sanno porsi. Una forma di prevenzione che la dice lunga sulla propensione delle nostre imprese a decadere per difetto di ambizioni.
Il bocconiano è giustamente ambizioso. E il fatto che ci sia qualcuno che non lo apprezza non ha alcuna rilevanza ai nostri fini. D’altro canto “questo prodotto” è meritoriamente sostenuto da una letteratura mediatica di antica e buona tradizione. Il che aiuta molto a misurare la differenza tra chi una scuola ce l’ha, nel vero senso della parola (basta far mente locale ai professori della benemerita istituzione che orientano su riviste e giornali le nostre patrie fortune) e il silenzio assordante delle altre scuole, per il quale può valere solo il pudore della riservatezza.
Dato a Cesare quel che è di Cesare, resterebbe da dire delle altre lauree, più o meno umanistiche, e della loro scarsa propensione a orientare un curriculum che si rispetti.
Coriandoli.
Eccessi di parole, per lo più. Navigazioni estemporanee in mondi di nessuna consistenza, che predispongono a far gruppo senza alcuno spirito di squadra, immaginando che la somma di tante debolezze possa essere compensata dalla facilità con cui ci si ritrova, avendo più tempo che cose da fare.
Il difetto della scuola, in generale, e tanto più nell’università (se si escludono le eccezioni di cui pure abbiamo parlato), è di non essersi arresa alle logiche dell’impresa, per allinearsi alle esigenze del mondo. Una vera ossessione la sua autonomia, che genera risentimenti improduttivi e un mare di chiacchiere su riforme improbabili. Nulla che possa servire veramente a chi voglia andarsi a occupare in modo serio. Al quale andrebbe dato un metodo senza fronzoli, insegnato che un obiettivo nella vita basta e avanza; consigliato di diffidare dell’immaginazione e della ricerca di consenso a tutti i costi.
La carriera non ama le condivisioni. Poche, accurate relazioni, sono esattamente quello che ci vuole.
Se poi la prospettiva è di orientarsi verso professioni individualiste, una sobria laurea in Giurisprudenza è più che sufficiente. (..)
Per concludere, se poi ancora non si abbiano le idee chiare, il sito di Almalaurea offre qualche utile strumento per meglio orientarsi sulla scelta del corso di laurea, tra cui un test “che suggerisce allo studente il percorso formativo o professionale più vicino alle sue aspirazioni e mostra l’esperienza concreta di chi ha fatto le stesse scelte ed è attualmente occupato”.