La strada

Il bellissimo libro La strada di Cormac McCarthy è un romanzo post-apocalittico che narra il rapporto tra un padre e un figlio per la sopravvivenza e la speranza in un mondo senza più storia né futuro.

Dall’edizione Einaudi: «Guardati intorno, – disse. – Non c’è profeta nella lunga storia della terra a cui questo momento non renda giustizia. Di qualunque forma abbiate parlato, avevate ragione».
Che cosa resta quando non c’è più un dopo perché il dopo è già qui? Generazioni di scienziati, mistici e scrittori hanno offerto in risposta le loro visioni di luce e tenebra. Ci hanno prospettato inferni d’acqua e di fuoco e aldilà celesti, fini irrevocabili e nuove nascite, ci hanno variamente affascinato o repulso, rassicurato o atterrito. Nell’insuperabile creazione mccarthiana, la post-apocalisse ha il volto realistico di un padre e un figlio in viaggio su un groviglio di strade senza origine e senza meta, dentro una natura ridotta a involucro asciutto, fra le vestigia paurosamente riconoscibili di un mondo svuotato e inutile. Restano dunque, su questa strada, esseri umani condannati alla sopravvivenza, la loro quotidiana ordalia per soddisfare i bisogni insopprimibili e cancellare gli altri, la furia dell’umanità tradita e i residui, impagabili scampoli di piacere dell’essere vivi; restano i cristalli purissimi del sentimento che lega padre e figlio e delle relazioni che i due intessono fra loro e con gli altri, ridotte all’estrema essenza nella ferocia come nella tenerezza. (..)

Di seguito alcuni estratti.

la strada, cormac mccarthy(..) Dormirono dentro una macchina parcheggiata sotto un viadotto, le giacche e la coperta ammucchiate addosso. Nell’oscurità e nel silenzio riuscivano a scorgere dei puntini luminosi che si accendevano qua e là sul pannello della notte. I piani più alti dei palazzi erano tutti bui. Voleva dire portare l’acqua fin lassù. E poi rischiare di essere stanati col fuoco. Che cosa mangiava quella gente? Lo sa Dio. Rimasero avvolti nelle giacche a guardare fuori dal finestrino. Chi sono, papà? 
Non lo so.

Durante la notte si svegliò e tese l’orecchio. Non si ricordava più dov’era. Il pensiero gli strappò un sorriso. Dove siamo?, disse.
Cosa c’è, papà?
Niente. È tutto a posto. Dormi.
Ce la caveremo, vero, papà?
Sì. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco.
Sì. Perché noi portiamo il fuoco. (..)

(..) Passarono la giornata lì, seduti in mezzo agli scatoloni e alla casse.
Mi devi parlare, disse al bambino.
Ti sto parlando.
Sei sicuro?
Sì, adesso sto parlando.
Vuoi che ti racconti una storia?
No. 
Perché no?
Il bambino lo guardò e poi distolse lo sguardo.
Perché no?
Quelle storie non sono vere.
Non devono essere per forza vere. Sono storie.
Sì. Ma nelle storie aiutiamo sempre qualcuno, mentre in realtà non aiutiamo nessuno.
Perché non me la racconti tu una storia?
Non mi va.
Ok.
Non ho nessuna storia da raccontare.
Potresti raccontarmi una storia che parla di te.
Le sai già tutte le storie che parlano di me. C’eri anche tu.
Ma dentro di te hai delle storie che io non conosco.
Cioè, come i sogni?
Per esempio. O anche le cose a cui pensi.
Sì, ma le storie dovrebbero essere allegre.
Non per forza.
Tu racconti sempre storie allegre.
E tu non ne hai di storie allegre?
Assomigliano alla vita reale.
Invece le mie storie no.
Le tue storie no. Infatti.
L’uomo lo fissò. La vita reale è molto brutta?
Secondo te?
Be’, io dico che siamo ancora qui. Sono successe un sacco di cose brutte ma siamo ancora qui.
Già.
A te non sembra una gran cosa.
Boh. (..)