Che cos’è la Mediocrazia? Secondo il filosofo Alain Deneault, (autore del libro La mediocrazia) questo termine oggi “designa standard professionali, protocolli di ricerca, processi di verifica e calibrature metodologiche attraverso i quali le organizzazioni dominanti si accertano di rendere intercambiabili i propri subalterni. La mediocrazia è l’ordine in funzione del quale i mestieri cedono il posto a una serie di funzioni, le pratiche a precise tecniche, la competenza all’esecuzione dell’opera pura e semplice. Ne hanno parlato Michel Foucault (rispetto al modo in cui l’esercito ha trasformato il contadino costruendogli addosso una perfetta “aria da soldato”), Karl Marx, a suo modo Frederick Winslow Taylor (in merito ai processi industriali di eccessiva ripartizione del lavoro), Hannah Arendt (sulla cieca esecuzione degli ordini amministrativi), Georg Simmel o Charles Wright Mills (sulle spese avventate degli scienziati sovvenzionati). Diventato un mezzo di sussistenza per i poveri e un mezzo in grado di produrre valore commerciale per i ricchi, anche il lavoro, a sua volta, doveva essere formattato in modo medio.”
Nel libro l’autore ci presenta la genealogia e lo sviluppo di questo concetto nei vari campi dove ha trovato terreno fertile: nell’arte e nella scienza, nella politica, nei mass media, nell’economia e nella finanza, nell’educazione e nella vita sociale.. praticamente ovunque.
Nonostante questa onnipervasività, l’autore sia all’inizio che alla fine del libro ci suggerisce cosa fare per opporre resistenza a questa mediocrazia. Riporto la parte presente nella prefazione.
Più che una domanda è un grido che viene dal cuore: Sì, però io cosa posso fare?” Lo si sente immancabilmente al termine di una conferenza sui mali della nostra epoca. La maggior parte degli ecosistemi, a livello mondiale, è minacciata, le società petrolifere costituiscono “economie” mafiose più potenti di qualunque Stato. Le produzioni mediatiche sono il frutto di esperimenti neurologici che puntano a manipolarci, le specie scompaiono e tutti noi, come collettività, siamo malati per quello che mangiamo. I focolai di tensione geopolitici si intensificano inesorabilmente; ma l’interrogativo, così pregno d’impotenza, disinnesca qualunque situazione. “Cosa posso fare io, Piccola Cosa, rinchiusa nella mia sterile individualità, costretta nel mio seminterrato a mangiare pizza surgelata considerando la diffusa disoccupazione, il rincaro degli affitti, la brutalità della polizia e il mio livello di indebitamento?” È una domanda retorica: confermatemi che non posso farci niente, perché in ogni caso sento di non possedere la forza per farmi carico dell’atto di resistenza che le circostanze richiedono. Si cerca banalmente un de Gaulle verso cui volgere lo sguardo, un Gandhi da imitare, o viceversa dei cospiratori da smascherare. In effetti, giunti a un livello in cui la politica trasmette più che altro un senso di abbandono, di solitudine morale, cosa ci resta da fare? Se questa espressione – “Che fare? – un tempo finiva con un punto esclamativo, e annunciava l’inizio di un ordine nuovo, la domanda individualista: “Sì, però io cosa posso fare…?” priva il suo autore di qualunque possibilità di agire. Come Piccola Cosa, non c’è nulla che valga la pena di fare. “Cosa posso fare io?” si presenta come una rivelazione dello stato in cui ci riduce il regime. Nondimeno, anche sollevato in modo così pietoso, la domanda opera in modo latente come una presa di coscienza sociale politica. È il momento zero a partire dal quale si può iniziare a darsi delle ragioni per sfuggire a se stessi, dal quale si possono assumere posizioni precise miranti a espugnare le strutture che ci condizionano, per capire fino a che punto ciò che in maniera precipitosa viene chiamato “coscienza individuale” possa essere intero, innanzitutto, come uno stato di fatto culturale, sociale e ideologico. Il pellegrinaggio di Alphonse Daudet è quello che, nel XIX secolo, sotto la Restaurazione, si convince di essere totalmente oppresso dalle sventure della sua epoca. Parla di sé in terza persona, non per blandire il proprio orgoglio, ma per impietosirsi sulla persona che lui stesso afferma di essere, senza alcuna capacità di controllo sulle sventure che fatalmente gli arrivano addosso, soprattutto quando crede di aver trovato una qualche forma di sollievo. E si rassegna a dimenticare gesti e iniziative che potrebbero modificare radicalmente il suo destino. “Cosa posso fare, io Piccola Cosa?” Passare alla domanda successiva! Lavorare senza fine a una sintesi delle cause giuste, organizzarsi al di là dello spirito campanilistico e delle chiusure settarie, burlarsi dell’ideologia, trascendere le modalità di organizzazione predominanti, e cimentarsi in strutture costituite che ci somiglino.
Qui interviste a Alain Deneault su La Stampa e su Il Venerdì