La caduta (1956) di Albert Camus è la storia di Clemence, un brillante avvocato parigino, che dopo aver abbandonato improvvisamente la sua carriera si ritira ad Amsterdam dove conduce una vita da recluso. Presa coscienza dell’insincerità e della doppiezza che finora aveva caratterizzato la sua vita, Clemence decide di redimersi confessando e incitando gli occasionali avventori di una taverna portuale a confessare a loro volta “la cattiva coscienza”.
#stefanobosso ph. tel aviv, 2014
Di seguito pubblico alcuni estratti del libro edito dalla Bompiani (1958) nella traduzione di Sergio Morando.
(..) Cercavo di scuotermi, certo. Che importanza aveva la menzogna di un uomo nella storia delle generazioni, e che pretesa quella di voler portare alla luce del vero un misero inganno perduto nell’oceano degli anni come il granello di sale nel mare! Tra me e me dicevo anche che la morte del corpo, a giudicare da quelle che avevo visto, era in sé una punizione sufficiente, assolveva di tutto, Si acquistava la salvezza (cioè il diritto di sparire definitivamente) col sudore dell’agonia. E tuttavia, il malessere aumentava, la morte rimaneva al mio capezzale, mi alzavo in sua compagnia e i complimenti mi diventavano sempre più insopportabili. Mi pareva che la menzogna crescesse di pari passo, così smisurata che mai più avrei potuto mettermi in regola.
Venne un giorno in cui non resistetti più. La prima reazione fu sfrenata. Ero bugiardo, e l’avrei dichiarato buttando la mia doppiezza in faccia a tutti quegli imbecilli ancor prima che la scoprissero. Provocato a dire la verità avrei risposto alla sfida. Per prevenire il riso, pensai dunque di incorrere nella derisione generale. Insomma, ancora una volta, si trattava di evitare il giudizio. Avrei voluto giocare d’ironia. Meditavo per esempio di urtare i ciechi per strada e, dalla gioia vaga ed imprevista che provavo, scoprivo fino a che punto una parte della mia anima li detestasse; divisavo di bucare le gomme delle carrozzelle degli invalidi, di andare ad urlare “brutto povero” sotto le impalcature dove lavoravano gli operai, di schiaffeggiare dei lattanti nella metropolitana. Architettavo tutte quelle cose, ma non ne ho fatto niente, o, se ho fatto qualcosa di simile, l’ho dimenticato.