Di passaggio

Di seguito il video della canzone di Franco Battiato Di passaggio tratto dall’album L’imboscata del 1997.

Tautò tèni zwn kài
Tethnekóz kai egregoròs
Kai kathèudon kai nèon kai
Ghraiòn tade gàr
Metapésonta ekéina ésti
Kakéina pàlin táuta
Passano gli anni
I treni, i topi per le fogne
I pezzi in radio
Le illusioni, le cicogne
Passa la gioventù
Non te ne fare un vanto
Lo sai che tutto cambia
Nulla si può fermare
Cambiano i regni
Le stagioni, i presidenti
Le religioni
Gli urlettini dei cantanti
E intanto passa ignaro
Il vero senso della vita
Si cambia amore, idea, umore
Per noi che siamo solo di passaggio
L’Informazione
Il coito, la locomozione
Diametrali delimitazioni
Settecentoventi case
Soffia la verità
Nel libro della formazione
Passano gli alimenti
Le voglie, i santi, i malcontenti
Non ci si può bagnare
Due volte nello stesso fiume
Né prevedere
I cambiamenti di costume
E intanto passa ignaro
Il vero senso della vita
Ci cambiano capelli, denti e seni
A noi che siamo solo di passaggio
Eipas ‘Hêlie khaire’
Kleombrotos Hômbrakiôtês
Hêlat’ af’ hupsêlu
Teikheos eis Aidên,
Axion uden
Idôn thanatu
Kakon, alla Platônos
Alla Platônos
 
Compositori: Francesco Battiato / Manlio Sgalambro
Testo di Di passaggio © Universal Music Italia Srl., L’ottava Srl.

Come mai

(…) I figli degli operai
I figli dei bottegai
I figli di chi è qualcuno e di chi non lo sarà mai
Come mai come mai
Che cazzo di animali in questi giorni miei (…) 

“Tutti giù per terra” CSI

Di seguito il primo paragrafo del libro Tutti giù per terra (1994) di Giuseppe Culicchia. Sotto l’ultima parte dell’omonimo film con la canzone omonima dei CSI.

(…) Hungry darkness of living
Who will thirst in the pit?
She spent a lifetime deciding
How to run from it (…)
Ghetto defendant, The Clash, 1982

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Giro giro tondo, casca il mondo…
Verso la fine degli anni Ottanta il mondo pareva proprio sul punto di cascare e io nell’attesa mi limitavo a girare in tondo, giorno dopo giorno. Facevo sempre più o meno lo stesso percorso. Senza una meta. Ogni giorno le stesse vie. Le stesse vetrine. Le stesse facce. I commessi guardavano fuori dai negozi come gli animali allo zoo guardavano i turisti. Rispetto a loro mi sentivo in libertà. Ma ero libero di non far niente.
Via Po piazza Castello via Roma. Piazza San Carlo via Carlo Alberto via Lagrange. Piazza Carignano piazza Carlo Alberto via Po. E poi di nuovo: piazza Castello, via Roma, piazza San Carlo. Tutti i giorni. Giorno dopo giorno. Chilometro dopo chilometro. All’infinito. La suola del mio unico paio di scarpe si era tutta consumata. Mi sforzavo di camminare appoggiando il meno possibile il piede sulla strada ma riuscivo soltanto a saltellare. Non volevo un lavoro da commesso. Non volevo fare carriera. Non volevo rinchiudermi in una gabbia. Intanto però la mia gabbia era la città. Le sue strade sempre uguali erano il mio labirinto. Senza un filo a cui aggrapparmi. Senza più nulla vedere. […]


(…) Come non sapere come non farsi fregare
Come non potere avere niente da imparare
Come non voler sentire quello che hai da dire
Come non trovare mai la forza d’affiorare
I figli degli operai
I figli dei bottegai
I figli di chi è qualcuno e di chi non lo sarà mai
Come mai come mai
Come mai
Troppi motivi non esistono
Troppi colori si confondono
Come nei film
Come nei film
I figli degli operai
I figli dei bottegai
I figli di chi è qualcuno e di chi non lo sarà mai
Come mai come mai
Che cazzo di animali in questi giorni miei
Come mai come mai (…)
“Tutti giù per terra”, CSI

Lo scandalo del futuro

Di seguito pubblico alcuni estratti dell’introduzione del bellissimo libro di Ferdinando G. Menga Lo scandalo del futuro – Per una giustizia intergenerazionale (2016).

UN NERVO ANCORA SCOPERTO PER LA RIFLESSIONE ETICA CONTEMPORANEA

“Tutti gli uomini sono pronti a riconoscere una morale rigorosa quando non si tratta di applicarla” (Simone Weil, Lezioni di filosofia)

 

copertina di Lo scandalo del futuroLa questione riguardante la responsabilità nei confronti delle generazioni future si presenta ormai come compito improcrastinabile in ogni ambito della vita pubblica: dai dibattiti scientifico-disciplinari al settore dei media fino alle odierne agende politico-istituzionali nazionali e di governance internazionale. La crescente preoccupazione per temi quali il riscaldamento globale e il cambiamento climatico, l’esigenza di uno sviluppo sostenibile, ma anche la protezione del comune patrimonio genetico e culturale, ruota costantemente attorno alla medesima domanda:come lasciare in eredità una vita degna d’essere vissuta tanto ai nostri successori, quanto agli abitanti del pianeta di un futuro lontano

Per quanto però la percezione di un tale richiamo alla responsabilità pssa mostrare un carattere esteso, diffuso e addirittura urgente a livello socio-politico, a livello teorico, la questione concernente la sua stessa giustificabilità o fondatezza permane tutt’oggi un tema ancora irrisolto. Non appena si a indagare, infatti, la situazione del dibattito in corso, ci si imbatte immancabilmente nella pietra d’inciampo – nello skandalon vero e proprio – di un’inconciliabile divergenza di fondo che palesa una tensione dal carattere squisitamente teorico assai rilevante: quella tra le posizioni a chiaro sostegno di una responsabilità intergenerazionale e quelle che, invece, teorizzano l’assenza (o la tenuta assai ridotta) di un fondamento motivazionale davvero in grado di giustificarla.

Nel quadro di una tale divergenza e alla luce della sua elevata posta in gioco, la riflessione filosofica è, pertanto, oggi più che mai chiamata a prendere posizione e, per quanto possibile, a cercare nuove strade e prospettive al fine di illuminare in modo rinnovato gli aspetti e gli snodi fondamentali concernenti una vera e propria giusitficabilità della responsabilità verso le generazioni future. […]

Pertanto, la questione cruciale che bisognerà porsi sarà la seguente: in che termini si può sostenere in modo convincente la fondatezza morale di una responsabilità verso le generazioni future alla luce delle teorie che ne attenuano o addirittura negano la giustificabilità. […]

Il nucleo fondamentale del mio contributo si proporrà esattamente di individuare una tale impostazione alternativa in un’etica di carattere fenomenologico fondata sul primato di una responsabilità che insorge non dall’estensione del modello contrattualista centrato sul presente e sulle reciprocità dei presenti, non da calcoli utilitaristici e neppure da un’impostazione atemporale di tipo metafisico-giusnaturalista, bensì a partire da un appello da parte di un’alterità genuinamente connessa al futuro. […]

Come sottolinea l’autore nel prosieguo dell’introduzione, questo suo “contributo intende collocarsi nella posizione intermedia che separa uno studio di carattere introduttivo da un’indagine teorica vera e propria che si inserisce nel dibattito con una linea argomentativa chiara e rigorosa”, fornendo al lettore non “semplicemente un passaggio in rassegna delle maggiori teorie al riguardo”, ma orientandolo “a partire da una prospettiva ermeneutica ben precisa” e riuscendosi benissimo. Il libro infatti costituisce un ottimo punto di partenza per poi approfondire tutti i vari aspetti filosofici e teorici collegati alla giustizia intergenerazionale.


Voglio che le cariche importanti,
dove si decide per il mondo
vengano assegnate solo a donne
madri di figli.
Sarei così curioso di vedere
se all’interno delle loro decisioni
riuscirebbero a scordarsi il loro futuro.
E il tetto delle nostre aspettative,
è così basso che si potrebbe anche toccare.
La vita media di una prospettiva è una campagna elettorale.
Ambiente non è solo un’atmosfera,
una rogna nelle mani di chi resta,
e il sasso su cui poggia il nostro culo
è il padrone della festa. (…)
(Il padrone della festa di Niccolò Fabi, Daniele Silvestri)

Smells

I hate myself and I want to die

Kurt Cobain 20.02.1967 – 5.04.1994

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Ha saputo dare voce e vita a un’intera generazione di giovani che non si sentivano a proprio agio col mondo e con i modelli sociali dominanti ereditati e la sua dipartita per molti ha rappresentato uno dei più gravi lutti vissuti nell’ultimo fine millennio.

Per chi come me ha vissuto un certo tipo di adolescenza negli anni ’90 è stato veramente importante.
Il fratello maggiore che con le sue canzoni ti faceva sentire meno solo e meno disadattato.

La canzone più rappresentativa di quel comune sentire e di quella rabbia è sicuramente Smells like teen spirit.

(…) With the lights out, it’s less dangerous 
Here we are now, entertain us 
I feel stupid and contagious 
Here we are now, entertain us 
A mulatto, an Albino 
A mosquito, my libido, yeah 
Hey, yay 

And I forget just why I taste 
Oh yeah, I guess it makes me smile 
I found it hard, it was hard to find 
Oh well, whatever, nevermind 

Hello, hello, hello, how low 
Hello, hello, hello, how low 
Hello, hello, hello, how low (…)

Il bombarolo

“Per me, una persona eccezionale è quella che si interroga sempre, là dove gli altri vanno avanti come pecore…”
Fabrizio De André (18.02.1940-11.01.1999)


(…) Il mio Pinocchio fragile 
parente artigianale 
di ordigni costruiti 
su scala industriale 
di me non farà mai 
un cavaliere del lavoro, 
io sono d’un’altra razza, 
son bombarolo. (…)

Intellettuali d’oggi 
idioti di domani 
ridatemi il cervello 
che basta alle mie mani, 
profeti molto acrobati 
della rivoluzione 
oggi farò da me 
senza lezione. 

Vi scoverò i nemici 
per voi così distanti 
e dopo averli uccisi 
sarò fra i latitanti 
ma finché li cerco io 
i latitanti sono loro, 
ho scelto un’altra scuola, 
son bombarolo. 

Potere troppe volte 
delegato ad altre mani, 
sganciato e restituitoci 
dai tuoi aeroplani, 
io vengo a restituirti 
un po’ del tuo terrore 
del tuo disordine 
del tuo rumore. (…)

Gocce di splendore

Di seguito, estratto dal libro Fabrizio De André Una goccia di splendore, Rizzoli, 2007.

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Cioran, uomo di grande lucidità, diceva che la vita, più che una corsa verso la morte è una disperata fuga dalla nascita. Quando veniamo al mondo affrontiamo una sofferenza e un disagio che ci portiamo avanti tutta la vita, quelli di un passaggio traumatico da una situazione conosciuta all’ignoto. Questo è il primo grande disagio. Il secondo, non meno traumatico, è quando ci rendiamo conto che dovremo morire. Per me questa spaventosa consapevolezza è arrivata verso i quattro anni. L’uomo diventa “grande”, diventa spirituale o altro, quando riesce a superare questi disagi senza ignorarli. Ora, se a essi si aggiunge anche l’esercizio della solitudine, ecco che allora forse, a differenza di altri che vivono protetti dal branco, alla fine della tua vita riesci a “consegnare alla morte una goccia di splendore“, come recita quel grande poeta colombiano che è Alvaro Mutis. Se ti opponi, se ti rifiuti di attraversare e superare questi disagi, per sopravvivere ti organizzi affinché siano altri a occuparsene e deleghi. Questa rinuncia ti toglie dignità, ti toglie la vita. Credo che l’uomo, per salvarsi, debba sperimentare l’angoscia della solitudine e dell’emarginazione. La solitudine, come scelta o come costrizione, è un aiuto: ti obbliga a crescere. Questa è la salvezza.


(…) per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità (…)
“Smisurata preghiera”, Fabrizio De André