Va tutto bene…

Va tutto bene.
A dicembre 2017 c’è stata la presentazione del 51° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2017. Ascoltando la presentazione, mi ero segnato qualche appunto sparso che riporto di seguito.

Oggi i risultati delle recenti elezioni (che hanno premiato i due partiti di più “rottura”) sembrano in linea con le tendenze socio-economiche raccontate dal Rapporto.

– “gli italiani stanno vivendo un quieto andare nella ripresa”?
– disaffezione nei confronti della politica perché sono anni che non si curata la solidarietà sociale
– giovani pochi e maltrattati
– un grande assente: gli investimenti pubblici
– vi è microfelicità quotidiana riconquistata dagli italiani
– cultura e entertainment sono il nuovo passpartout per stare nella globalità
– pesa anche il saldo migratorio dei cittadini italiani verso l’estero che aumenta sempre più
– denatalità
– progressivo invecchiamento
– degiovanimento del paese
– riduzione del peso demografico: una miccia accesa che rischia di deflagrare nel futuro perché si pone un problema strutturale del sistema paese
– il ricambio generazionale non viene più assicurato
– “i giovani non contano perché sono pochi”.. sono un bacino elettorale scarso (11 milioni), ma che si riduce nel tempo e quindi non li guarda con sufficiente attenzione
– manca attenzione alla qualità del capitale che stiamo attraendo
– se poi ci metti che i migliori giovani scappano dall’Italia
– vi è il fenomeno dell’overeducation
– vi è il timore di un declassamento sociale: l’87% dei Millennials pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69% di loro pensa che sia molto facile l’arretramento sociale
– vi è risentimento e nostalgia nei confronti della politica e di chi è rimasto indietro
– si è verificata la rottura patto intergenerazionale che aveva fatto da guida al paese dal dopoguerra in avanti, ossia di quella tacita promessa per cui le generazioni più giovani avrebbero goduto di condizioni sociali economiche, occupazionali migliori delle generazioni precedenti
– oggi l’immaginario collettivo ha perso la forza propulsiva che aveva avuto in passato
– il corpo sociale fatica a star dietro all’innovazione tecnologica
– affanno complessivo della società italiana
– il rancore sfocia in una crisi familiare piccola e contenuta, rimane inscatolata in circuiti stretti e non diventa conflitto sociale
– il rancore sociale non ha ancora portato a quella frattura che sarebbe necessaria per aprire un nuovo ciclo
– il futuro si è incollato al presente

Le «Considerazioni generali» Un Paese in cui il futuro è rimasto incollato al presente:
La politica invece ha mostrato il fiato corto, nell’incessante inseguimento di un quotidiano «mi piace», nella personale verticalizzazione della presenza mediatica. I decisori pubblici sono rimasti intrappolati nel brevissimo periodo. Il disimpegno dal varo delle riforme sistemiche, dalla realizzazione delle grandi e minute infrastrutture, dalla politica industriale, dall’agenda digitale, dalla riduzione intelligente della spesa pubblica, dalla ricerca scientifica, dalla tutela della reputazione internazionale del Paese, dal dovere di una risposta alla domanda di inclusione sociale, ha prodotto una società che ha macinato sviluppo, ma che nel suo complesso è impreparata al futuro.

Se chi ha responsabilità di governo e di rappresentanza si limita a un gioco mediatico a bassa intensità di futuro, resteremo nella trappola del procedere a tentoni, senza metodo e obiettivi, senza ascoltare e prevedere il lento, silenzioso, progredire del corpo sociale.”

Il capitolo «La società italiana al 2017» La ripresa c’è e l’industria va, ma cresce l’Italia del rancore:

“[…] L’Italia dei rancori. Nella ripresa persistono trascinamenti inerziali da maneggiare con cura. Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore. L’87,3% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante. Pensano che al contrario sia facile scivolare in basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. La paura del declassamento è il nuovo fantasma sociale. Ed è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l’87,3% di loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso. Allora si rimarcano le distanze dagli altri: il 66,2% dei genitori italiani si dice contrario all’eventualità che la propria figlia sposi una persona di religione islamica, il 48,1% una più anziana di vent’anni, il 42,4% una dello stesso sesso, il 41,4% un immigrato, il 27,2% un asiatico, il 26,8% una persona che ha già figli, il 26% una con un livello di istruzione inferiore, il 25,6% una di origine africana, il 14,1% una con una condizione economica più bassa. E l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, con valori più alti quando si scende nella scala sociale: il 72% tra le casalinghe, il 71% tra i disoccupati, il 63% tra gli operai.

Il rimpicciolimento del Paese. La demografia italiana è segnata dalla riduzione della natalità, dall’invecchiamento e dal calo della popolazione. Per il secondo anno consecutivo, nel 2016 la popolazione è diminuita di 76.106 persone, dopo che nel 2015 si era ridotta di 130.061. Il tasso di natalità si è fermato a 7,8 per 1.000 residenti, segnando un nuovo minimo storico di bambini nati (solo 473.438). La compensazione assicurata dalla maggiore fertilità delle donne straniere si è ridotta. A fronte di un numero medio di 1,26 figli per donna italiana, il dato delle straniere è di 1,97, ma era di 2,43 nel 2010. Nel 1991 i giovani di 0-34 anni (26,7 milioni) rappresentavano il 47,1% della popolazione, nel 2017 sono scesi al 34,3% (20,8 milioni). Pesa anche la spinta verso l’estero: i trasferimenti dei cittadini italiani nel 2016 sono stati 114.512, triplicati rispetto al 2010 (39.545). Il ricambio generazionale non viene assicurato e il Paese invecchia: gli over 64 anni superano i 13,5 milioni (il 22,3% della popolazione). E le previsioni annunciano oltre 3 milioni di anziani in più già nel 2032, quando saranno il 28,2% della popolazione complessiva. […]

Risentimento e nostalgia nella domanda politica di chi è rimasto indietro. L’onda di sfiducia che ha investito la politica e le istituzioni non perdona nessuno: l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. Non sorprende che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo. L’astioso impoverimento del linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica.”

Concorso Nazionale “Riprendiamoci il futuro” – Edizione 2018

No automatic alt text available.Grazie e via Fondazione Bruno Visentini è online il bando del Concorso Nazionale “Riprendiamoci il futuro” – Edizione 2018.

L’iniziativa, promossa dal ClubdiLatina e dalla Fondazione Bruno Visentini,  si propone di sensibilizzare gli studenti sul tema del persistente divario generazionale e degli ostacoli che si frappongono al raggiungimento dei loro obiettivi di crescita umana e professionale. Riveste dunque una forte valenza formativa far acquisire ai giovani la consapevolezza dell’importanza del percorso scolastico ed esperienziale che li condurrà al mondo del lavoro e al contesto socioeconomico nel quale si troveranno ad operare.

Il concorso è aperto a tutti gli studenti iscritti al I, II, III, IV e V anno scolastico 2017-2018 della scuola secondaria superiore di II grado. La partecipazione al concorso è gratuita.

Si partecipa con un elaborato in lingua italiana sul tema “2030: il futuro della mia città”.

I lavori dovranno essere inviati entro il 20 marzo 2018 al seguente indirizzo di posta elettronica: concorso.riprendiamociilfuturo@gmail.com.

La premiazione si terrà a Roma, nell’Aula Magna dell’Università LUISS Guido Carli, nel corso del Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca FBV “Il Divario generazionale e le nuove professioni – Rapporto 2018″, alla presenza delle Istituzioni, dei Rappresentanti del Governo e della Stampa, durante il mese di Maggio. 

Per ulteriori informazioni si allega il bando di concorso:

bando-concorso-riprendiamoci-il-futuro-ed-2018

Agli studenti partecipanti è richiesta la compilazione, in forma anonima, del formulario allegato al presente bando:

questionario-riprendiamoci-il-futuro-2018

Il Welfare dei Millennials

welfare millennials obiettivo italia

Ieri si è tenuto un convegno organizzato da Obiettivo Italia sul tema del Welfare dei Millennials presso il centro Congressi Roma eventi all’Audiotorium Loyola. Molti i nomi illustri tra cui il presidente dell’Inps Tito Boeri e l’ex ministra Elsa Fornero in collegamento telematico.

Qui un ottimo sunto dei vari interventi che hanno animato il dibattito. Come al solito tante buone idee e propositi e tanti i temi trattati: fiscalizzazione degli oneri sociali, migliori politiche attive del lavoro (vedi centri per l’impiego e di orientamento), formazione continua, incentivi fiscali per le imprese che assumono giovani, crisi economica e demografica, mancanza di continuità contributiva, reddito di cittadinanza, pensioni minime, minore tassazione, etc. Aspettiamo con rassegnato ottimismo di vedere cosa accadrà in futuro.

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Il divario generazionale, Rapporto 2017

Ieri nell’aula magna dell’università Luiss di Roma si è tenuta la presentazione del Rapporto 2017 della Fondazione Bruno Visentini dal titolo “Il Divario Generazionale tra conflitti e solidarietà”.

Dalla presentazione del Rapporto:

Si può parlare, per i millennials, i nati alla fine del secolo scorso, di “generazione perduta”, appellativo che fu in precedenza attribuito ai loro genitori? La risposta è no, ma il rischio di una deriva è molto elevato e gli oneri per uscire dall’impasse gravano, attualmente, sui diretti interessati. Questi “crescono” in una società costruita e gestita a misura delle generazioni mature, che preclude ai giovani anche la visione, la speranza e l’aspettativa stessa di un benessere futuro: una società “dominata” dai baby boomers che hanno goduto di una confortevole gioventù e che oggi approdano a una confortevole vecchiaia da silver boomers. La questione del “divario generazionale”, così come le possibili soluzioni a essa connesse, chiamano in causa innanzitutto i principi di solidarietà (art. 2) e di uguaglianza sanciti dalla nostra Costituzione (art. 3): non è possibile, infatti, essere «eguali di fronte alla legge» ovvero esercitare i medesimi diritti, sia civili che sociali, se prima non vengono rimosse le condizioni di diseguaglianza che impediscono a tutti di fruirne effettivamente.
In questo quadro la ricerca ha compiuto un’analisi comparata delle principali esperienze italiane in tema di riduzione del divario generazionale, attraverso l’aggiornamento al 2030 di uno specifico Indicatore di Divario Generazionale (messo a punto nel 2015 in partnership con la FBV dal ClubdiLatina) e operando nell’ambito degli obiettivi indicati dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta nel 2015 da tutti i paese membri dell’ONU.
Una forbice – è emerso – le cui ‘lame’ tra 2004 e stima 2030 triplicano la loro distanza. se cioè, un giovane di vent’anni nel 2004, per raggiungere l’indipendenza, doveva scavalcare un ‘muro’ di un metro, nel 2030 quel muro sarà alto 3 metri e dunque invalicabile. e, lo stesso giovane, se nel 2004 aveva impiegato 10 anni per costruirsi una vita autonoma, nel 2020 ne impiegherà 18, e nel 2030 addirittura 28: diventerebbe, in sostanza, “grande” a cinquant’anni.

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