Difendere l’Italia

Di seguito un estratto dal capitolo “Dobbiamo accettare la distruzione dell’Europa?” del libro Difendere l’Italia (2013) di Ida Magli.

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[…] Il 5 luglio 2013 è dunque una data che gli italiani non dovranno dimenticare mai. La data dell’infamia di questi governanti che dovrebbero essere condannati molto più gravemente di quelli che hanno trascinato i popoli alla rovina con le guerre. Più gravemente perché questi l’hanno fatto per il tradimento, per uccidere i propri popoli.
I governanti, però, di tutto questo non parlano. Non parlano né di sé stesi, da quando si sono volontariamente ridotti alla sola funzione di dire di sì alle decisioni dei banchieri, né dei banchieri e del loro tirannico modo di governare i popoli. Un silenzio che dura da troppo tempo anche perché, da quando la crisi ha raggiunto il suo culmine con il terribile anno 2011, il tempo, come abbiamo già notato, sembra diventato inafferrabile, impossibile da padroneggiare. Tutti si aspettano che siano gli esperti, i politici a traghettare i sudditi, ridotti alla veste di “ombre”, lungo la strada che porta alla luce. I politici, però, sanno bene che questa strada non esiste perché  l’unica possibile comporterebbe rimettere in questione l’unificazione europea, il dominio dei banchieri, cosa che nessuno osa neanche porre di fronte a sé. Ripetono perciò che “si vede la luce in fondo al tunnel”, ma è il tunnel che non è per nulla un tunnel, un corridoio da percorrere per raggiungere una meta: è invece la situazione, è la realtà.

Quel possente dolore di cui parlava Georg Trakl non aiuta ad accendere la fiamma dello spirito nei nostri giovani, non corrisponde a ciò che stanno vivendo perché non sanno neanche che quello che soffrono è un possente dolore. Sono al di là della percezione del dolore. Si aggirano “soli”, chiusi ad ogni mondo che non sia quello riflesso nell’a tu per tu con il loro computerino. Una solitudine nuova, tragicamente, vuota, quella che sperimentano i nostri giovani e che parla anch’essa della fine dell’Europa. Non hanno nulla da dire a nessuno. Questo silenzio, però, questo vuoto, dice una cosa terribile: che non abbiamo consegnato loro, nella rovina in cui siamo sprofondati, neanche quell’ardente fiamma dello spirito di cui parla Trakl e che fino ad oggi gli uomini che si sono succeduti in Europa hanno sempre tenuto accesa e consegnato, attraverso i secoli, ai loro discendenti. Lasceremo che i banchieri spengano anche questa fiamma?

Luciano Barra Caracciolo MERCATI E COSTITUZIONE: “INTERVISTA” A CALAMANDREI. MA WEIDMAN E OETTINGER STRICTO IURE HANNO RAGIONE

Alberto Bagnai Öttinger

Animali morenti

Il 22 maggio se ne è andato il grande Philip Roth. Di seguito un estratto da L’animale morente (2001).

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«Avrai sempre le mani legate con questa ragazza, – disse. – Non sarai mai tu ad avere il coltello per il manico. Qui c’è qualcosa – mi disse – che ti fa perdere la testa, e te la farà perdere sempre. Se non tagli definitivamente con questo legame, alla fine quel qualcosa ti distruggerà. Non stai più semplicemente soddisfando un bisogno naturale, con lei. Questa è patologia nella sua forma più pura. Senti, – mi disse, – guardala come un critico, da un punto di vista professionale. Hai violato la legge delle distanza estetica. Con questa ragazza hai sentimentalizzato l’esperienza estetica: l’hai personalizzata, l’hai trasportata nella sfera dei sentimenti, e hai perduto il senso della separazione indispensabile per il tuo godimento. Sai quando è successo? La sera che si è tolta l’assorbente. La necessaria separazione estetica è venuta meno non mentre tu la guardavi sanguinare – questo andava bene, non era il problema – ma quando non sei riuscito a a trattenerti e ti sei inginocchiato. Ma cosa diavolo te l’ha fatto fare? Cosa c’è sotto la commedia di questa ragazza cubana che manda al tappeto uno come te, il professore di desiderio? Bere il suo sangue? Io direi che questo ha rappresentato l’abbandono di una posizione critica indipendente, Dave. Adorami, lei dice, venera il mistero della dea sanguinante, e tu lo fai. Non ti fermi davanti a nulla, Lo lecchi. Lo consumi. Lo digerisci. È lei che penetra te. Che altro la prossima volta, David? Un bicchiere della sua urina? Tra quanto tempo la implorerai di darti le sue feci? in non sono contrario perché è poco igienico. Non sono contrario perché è disgustoso. Sono contrario perché questo vuol dire innamorarsi. L’unica ossessione che vogliono tutti: l'”amore”. Cosa crede , la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due. Quella ragazza era un corpo estraneo introdotto nella tua interezza. E per un anno e mezzo tu hai lottato per incorporarlo. Ma non sarai mai intero finché non l’avrai espulso. O te ne sbarazzi o lo incorpori con un’autodistorsione. Ed è quello che hai fatto e che ti ha ridotto alla disperazione».
[…] Ma George non mollava «L’attaccamento è rovinoso, ed il tuo nemico. Joseph Conrad: chi si forma un legame è perduto. È assurdo che tu stia lì seduto con quella faccia. L’hai assaggiato. Non ti basta? Di cosa riesci mai ad avere più di un assaggio? È tutto che ci è dato nella vita, è tutto quello che ci è dato della vita. Un assaggio. Non c’è altro». 

Icaro

Di seguito la poesia Icaro di Yukio Mishima tratta dal libro Sole e acciaio (1968).

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Icaro

Appartengo, fin dal principio, al cielo?
Se non v’appartengo, perché
mi ha fissato così, per un attimo,
con il suo sguardo infinitamente azzurro,
e mi ha attirato lassù, con la mia mente,
in alto, sempre più in alto,
e senza tregua mi seduce e mi trascina
verso altezze remote all’umano?
L’equilibrio severamente studiato,
il volo razionalmente calcolato,
nessuna anomalia sarebbe possibile:
perché dunque la brama di salire nel cielo
è così simile, in sé, alla follia?
Niente mi può appagare,
subito mi tedia qualsiasi novità terrestre.
Più in alto, più in alto, instabilmente
vengo trascinato sempre più vicino al fulgore del sole.
Perché la sorgente di luce della ragione mi brucia,
perché la sorgente di luce della ragione mi annienta?
Sotto di me, in lontananza, villaggi e fiumi sinuosi
assai più tollerabili appaiono di quando sono vicini.
Perché mi perdonano, mi approvano, mi invitano,
suggerendo che da così lontano
potrei anche amare l’umano
sebbene un simile amore non possa essere la mia meta?
E, se anche lo fosse, non avrei forse
ragione di appartenere fin dal principio al cielo
Mai ho invidiato la libertà degli uccelli,
mai ho desiderato l’indolenza della natura,
incitato solo dal misterioso struggimento a salire, ad avvicinarmi,
ad immergermi nell’azzurro del cielo.
Così contrario alle gioie organiche,
così lontano dai piaceri di uno spirito superiore.
Più in alto, più in alto,
irretito, forse, dalla lusinga e dalla vertigine delle ali di cera?

E, dunque,
Se dal principio appartenessi alla terra?
E perché la terra, se così non fosse,
provocherebbe con tanta rapidità la mia caduta
senza concedermi il tempo di pensare o di sentire?
Perché la terra così morbida e languida,
mi ha accolto con l’urto della lamina d’acciaio?
La tenera terra si è trasformata in acciaio
solo per mostrarmi la mia fragilità,
affinché la natura mi mostrasse
che la caduta è molto più naturale di quella misteriosa passione?
L’azzurro del cielo è un’illusione
prodotta dall’ebbrezza bruciante ed effimera
delle ali di cera, e tutto, fin dal principio
fu escogitato dalla terra, a cui io appartengo.
O forse il cielo, segretamente, favorì il piano
per colpirmi con la sua punizione?
Per punirmi della colpa
di non credere che esista un io,
o di non credere troppo nel mio io,
di voler impazientemente conoscere a chi io appartenga,
o di presumere di sapere tutto
e di tentare di volare lontano,
verso l’ignoto,
o verso il conosciuto,
sempre verso il punto di un azzurro simbolo?