Davide sconfigge Golia

Un libro che ricevetti da bambino come regalo di Natale e che ancora conservo è 366… e più storie della Bibbia.
Per la verità, a parte qualche storia, non è che mi appassionò un granché. Ricordo con piacere la storia di Adamo ed Eva, l’arca di Noè, il passaggio nelle acque di Mosè, qualcosa su Gesù, e poi la storia di Paolo di Tarso, perché si chiamava come me e poi fece un sacco di casini per venire a vivere a Roma, e quindi mi stava simpatico.
Però forse la storia che più mi colpì fu quella del ragazzino Davide che sconfisse il gigante Golia. Mi rimane un mistero come abbia fatto solo con un tiro di fionda a sconfiggere quell’altro tizio molto più grosso e armato di tutto punto, ma tant’è.. grazie a quella vittoria divenne famoso e dopo altre storie e battaglie divenne re di Israele.

Di seguito però pubblico la versione per adulti di Davide sconfigge Golia, dal primo libro di Samuele cap. 17.

I Filistei radunarono di nuovo le loro truppe per la guerra, si radunarono a Soco di Giuda e si accamparono tra Soco e Azekà, a Efes-Dammìm. Anche Saul e gli Israeliti si radunarono e si accamparono nella valle del Terebinto e si schierarono a battaglia contro i Filistei. I Filistei stavano sul monte da una parte, e Israele sul monte dall’altra parte, e in mezzo c’era la valle.
Dall’accampamento dei Filistei uscì uno sfidante, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle. L’asta della sua lancia era come un cilindro di tessitori e la punta dell’asta pesava seicento sicli di ferro; davanti a lui avanzava il suo scudiero. Egli si fermò e gridò alle schiere d’Israele: «Perché siete usciti e vi siete schierati a battaglia? Non sono io Filisteo e voi servi di Saul? Sceglietevi un uomo che scenda contro di me. Se sarà capace di combattere con me e mi abbatterà, noi saremo vostri servi. Se invece prevarrò io su di lui e lo abbatterò, sarete voi nostri servi e ci servirete». Il Filisteo aggiungeva: «Oggi ho sfidato le schiere d’Israele. Datemi un uomo e combatteremo insieme». Saul e tutto Israele udirono le parole del Filisteo; rimasero sconvolti ed ebbero grande paura.
Davide era figlio di un Efrateo di Betlemme di Giuda chiamato Iesse, che aveva otto figli. Al tempo di Saul, quest’uomo era un vecchio avanzato negli anni. I tre figli maggiori di Iesse erano andati con Saul in guerra. Di questi tre figli, che erano andati in guerra, il maggiore si chiamava Eliàb, il secondo Abinadàb, il terzo Sammà. Davide era ancora giovane quando questi tre più grandi erano andati dietro a Saul. Egli andava e veniva dal seguito di Saul e pascolava il gregge di suo padre a Betlemme.
Il Filisteo si avvicinava mattina e sera; continuò così per quaranta giorni. Ora Iesse disse a Davide, suo figlio: «Prendi per i tuoi fratelli questa misura di grano tostato e questi dieci pani e corri dai tuoi fratelli nell’accampamento. Al comandante di migliaia porterai invece queste dieci forme di formaggio. Infórmati della salute dei tuoi fratelli e prendi la loro paga. Essi con Saul e tutto l’esercito d’Israele sono nella valle del Terebinto, a combattere contro i Filistei». Davide si alzò di buon mattino: lasciò il gregge a un guardiano, prese il carico e partì come gli aveva ordinato Iesse. Arrivò ai carriaggi quando le truppe uscivano per schierarsi e lanciavano il grido di guerra. Si disposero in ordine Israele e i Filistei: schiera contro schiera. Davide si liberò dei bagagli consegnandoli al custode, poi corse allo schieramento e domandò ai suoi fratelli se stavano bene. Mentre egli parlava con loro, ecco lo sfidante, chiamato Golia il Filisteo, di Gat. Avanzava dalle schiere filistee e tornò a dire le sue solite parole e Davide le intese. Tutti gli Israeliti, quando lo videro, fuggirono davanti a lui ed ebbero grande paura.

 Ora un Israelita disse: «Vedete quest’uomo che avanza? Viene a sfidare Israele. Chiunque lo abbatterà, il re lo colmerà di ricchezze, gli darà in moglie sua figlia ed esenterà la casa di suo padre da ogni gravame in Israele». Davide domandava agli uomini che gli stavano attorno: «Che faranno dunque all’uomo che abbatterà questo Filisteo e farà cessare la vergogna da Israele? E chi è mai questo Filisteo incirconciso per sfidare le schiere del Dio vivente?». Tutti gli rispondevano la stessa cosa: «Così e così si farà all’uomo che lo abbatterà». Lo sentì Eliàb, suo fratello maggiore, mentre parlava con quegli uomini, ed Eliàb si irritò con Davide e gli disse: «Ma perché sei venuto giù e a chi hai lasciato quelle poche pecore nel deserto? Io conosco la tua boria e la malizia del tuo cuore: tu sei venuto giù per vedere la battaglia». Davide rispose: «Che cosa ho dunque fatto? Era solo una domanda». Si allontanò da lui, andò dall’altra parte e fece la stessa domanda, e tutti gli diedero la stessa risposta.
Sentendo le domande che Davide faceva, le riferirono a Saul e questi lo fece chiamare. Davide disse a Saul: «Nessuno si perda d’animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Tu non puoi andare contro questo Filisteo a combattere con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua adolescenza». Ma Davide disse a Saul: «Il tuo servo pascolava il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora dal gregge. Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la pecora dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l’afferravo per le mascelle, l’abbattevo e lo uccidevo. Il tuo servo ha abbattuto il leone e l’orso. Codesto Filisteo non circonciso farà la stessa fine di quelli, perché ha sfidato le schiere del Dio vivente». Davide aggiunse: «Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Ebbene va’ e il Signore sia con te». Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e lo rivestì della corazza. Poi Davide cinse la spada di lui sopra l’armatura e cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato. Allora Davide disse a Saul: «Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato». E Davide se ne liberò. Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese ancora in mano la fionda e si avvicinò al Filisteo.
Il Filisteo avanzava passo passo, avvicinandosi a Davide, mentre il suo scudiero lo precedeva. Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell’aspetto. Il Filisteo disse a Davide: «Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?». E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dèi. Poi il Filisteo disse a Davide: «Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche». Davide rispose al Filisteo: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele, che tu hai sfidato. In questo stesso giorno, il Signore ti farà cadere nelle mie mani. Io ti abbatterò e ti staccherò la testa e getterò i cadaveri dell’esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele. Tutta questa moltitudine saprà che il Signore non salva per mezzo della spada o della lancia, perché del Signore è la guerra ed egli vi metterà certo nelle nostre mani». Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse a prendere posizione in fretta contro il Filisteo. Davide cacciò la mano nella sacca, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s’infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra. Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra, colpì il Filisteo e l’uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa. I Filistei videro che il loro eroe era morto e si diedero alla fuga.

Davide con la testa di Golia, Caravaggio,, 1605/1606Si levarono allora gli uomini d’Israele e di Giuda, alzando il grido di guerra, e inseguirono i Filistei fin presso Gat e fino alle porte di Ekron. I cadaveri dei Filistei caddero lungo la strada di Saaràim, fino all’ingresso di Gat e fino a Ekron. Quando gli Israeliti furono di ritorno dall’inseguimento dei Filistei, saccheggiarono il loro campo. Davide prese la testa del Filisteo e la portò a Gerusalemme. Le armi di lui invece le pose nella sua tenda.
Saul, mentre guardava Davide uscire contro il Filisteo, aveva chiesto ad Abner, capo delle milizie: «Abner, di chi è figlio questo giovane?». Rispose Abner: «Per la tua vita, o re, non lo so». Il re soggiunse: «Chiedi tu di chi sia figlio quel giovinetto». Quando Davide tornò dall’uccisione del Filisteo, Abner lo prese e lo condusse davanti a Saul mentre aveva ancora in mano la testa del Filisteo. Saul gli chiese: «Di chi sei figlio, giovane?». Rispose Davide: «Di Iesse il Betlemmita, tuo servo».

Sole e acciaio

“Non penso a tutta la miseria ma alla bellezza che rimane ancora”

A. Frank, Diario

Estratti da Sole e acciaio di Yukio Mishima.

[…] Un giorno decisi di incominciare a coltivare alacremente il mio orto. Usai sole e acciaio. I raggi implacabili del soli, uniti all’acciaio dell’aratro e della zappa, furono due elementi principali della mia coltivazione. Così, mentre gli alberi lentamente fruttificavano, il pensiero del corpo giunse ad occupare gran parte delle mie meditazioni.
Naturalmente un fatto simile non è realizzabile nell’arco di un giorno; e neppure ha inizio senza qualche motivo profondo. […]

mishima sole e acciaio guanda

Quel giorno iniziò una stretta relazione che sarebbe durata dieci anni, tra la massa d’acciaio e me.
La natura di questo acciaio è veramente strana: ogni suo aumento di peso accresceva gradatamente, proprio come su una bilancia, anche la consistenza dei miei muscoli sull’altro piatto, Era come se l’acciaio avesse il dovere di conservare un equilibrio infinitesimale con il peso dei miei muscoli. E, gradualmente, tutte le proprietà dei miei muscoli rafforzarono la loro rassomiglianza con l’acciaio. Questo lento sviluppo somigliava straordinariamente a quel processo di “educazione” mediante iol quale si ricostruisce intellettualmente il cervello fornendo all’encefalo prodotti intellettuali sempre più difficili. E poiché continuavo a sognare una superficiale, esemplare forma ideale e classica del corpo quale obiettivo finale dell’educazione, l’intero processo somigliava molto al modello dell’educazione classica.
Ma quale dei due somigliava veramente all’altro? Non cercavo forse con le parole d’imitare la forma classica del corpo? La bellezza, per me, tornava sempre sui propri passi. Per me era importante solo un’immagine che esisteva un tempo, o che avrebbe dovuto esistere. La massa d’acciaio, con le proprie operazioni che presentavano variazioni infinite, ricreava un equilibrio classico, adempiva alla funzione di sospingere nuovamente il corpo verso la forma che avrebbe dovuto possedere. I fasci di muscoli, ormai quasi superflui nella vita contemporanea, sono ancora elementi vitali nella struttura del corpo maschile, ma è evidente la loro inutilità nella vita quotidiana: i muscoli non sono necessari, proprio come non è necessaria un’educazione classica per la grande maggioranza degli uomini pratici. I muscoli erano diventati progressivamente simili alla lingua greca antica. Per resuscitare quella lingua morta era necessaria un’educazione impartita dall’acciaio, per ribaltare il silenzio della morte nell’eloquenza della vita era essenziale l’aiuto dell’acciaio.50 lire
L’acciaio mi mostrò quale rispondenza esistesse realmente tra lo spirito e il corpo: emozioni deboli corrispondevano a muscoli flaccidi, il sentimentalismo a uno stomaco rilassato, la sensibilità a una pelle bianca e delicata: quindi muscoli sviluppati dovevano corrispondere a un ardente spirito combattivo, uno stomaco teso a un giudizio freddo e cerebrale, una pelle elastica a un carattere risoluto. Voglio precisare che non intendo sostenere  che questo valga per la totalità degli uomini. Anche la mia limitata esperienza era sufficiente a farmi concludere che c’erano casi in cui muscoli sviluppati nascondevano un animo debole Però, come ho già accennato, per me le parole precedevano la carne, e quindi le immagini di tute le virtù morali evocate da espressione come ardente, elastico, risoluto, dovevano necessariamente manifestarsi come segni fisici: per raggiungere questo fine era dunque sufficiente che donassi a me stesso, come in un processo educativo, queste caratteristiche esteriori.
Inoltre, al di là di quella forma classica, in me era latente un progetto romantico. L’impulso romantico, che fin da ragazzo era come una corrente sotterranea nella mia mente, assumeva significato solo in quanto distruzione della perfezione classica e si annunciava in me come un preludio in cui fosse presente la totalità dei temi dell’intera sinfonia: prima ancora di avere ottenuto un solo risultato concepivo già una composizione predeterminata. Pur nutrendo un profondo impulso romantico verso la morte, esigevo quale suo strumento un corpo rigorosamente classico; data la mia strana concezione del destino, gli impulsi romantici che mi spingevano alla morte non ebbero modo di realizzarsi per una ragione molto semplice: credevo di non possedere qualità fisiche necessarie. Per una morte romantica ed eroica erano indispensabili muscoli possenti e scultorei; pensavo che se carni flaccide si fossero trovate al cospetto della morte, non si sarebbe manifestata che una ridicola inadeguatezza, A diciotto anni, benché desiderassi una fine violenta, sentivo di non esserne degno. Infatti non possedevo muscoli che si addicessero a una morte drammatica. E feriva profondamente il mio orgoglio romantico l’essere sopravvissuto fino al termine della guerra grazie a quella inadeguatezza.
Comunque quell’intrico di idee contorte era semplicemente il groviglio del preludio di un essere che ancora non aveva realizzato nulla. Sarebbe bastato che un giorno riuscissi a realizzare qualcosa, o a distruggere qualcosa. E fu proprio l’acciaio a darmi la chiave di tutto. […]

Buon anno ragazzi

(..) Buon anno, ragazzi
Buon anno
Impostori e piccoli Dei in corpo pallido bronzeo nero
Consapevoli sterminatori accorti nel distruggere
Attenti nell’arricchire piccoli eroi mai sazi
Consapevoli sterminatori complici e profittatori
Siccome sanno quello che fanno
Non li perdono non li perdonerò (..)

Gocce di splendore

Di seguito, estratto dal libro Fabrizio De André Una goccia di splendore, Rizzoli, 2007.

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Cioran, uomo di grande lucidità, diceva che la vita, più che una corsa verso la morte è una disperata fuga dalla nascita. Quando veniamo al mondo affrontiamo una sofferenza e un disagio che ci portiamo avanti tutta la vita, quelli di un passaggio traumatico da una situazione conosciuta all’ignoto. Questo è il primo grande disagio. Il secondo, non meno traumatico, è quando ci rendiamo conto che dovremo morire. Per me questa spaventosa consapevolezza è arrivata verso i quattro anni. L’uomo diventa “grande”, diventa spirituale o altro, quando riesce a superare questi disagi senza ignorarli. Ora, se a essi si aggiunge anche l’esercizio della solitudine, ecco che allora forse, a differenza di altri che vivono protetti dal branco, alla fine della tua vita riesci a “consegnare alla morte una goccia di splendore“, come recita quel grande poeta colombiano che è Alvaro Mutis. Se ti opponi, se ti rifiuti di attraversare e superare questi disagi, per sopravvivere ti organizzi affinché siano altri a occuparsene e deleghi. Questa rinuncia ti toglie dignità, ti toglie la vita. Credo che l’uomo, per salvarsi, debba sperimentare l’angoscia della solitudine e dell’emarginazione. La solitudine, come scelta o come costrizione, è un aiuto: ti obbliga a crescere. Questa è la salvezza.


(…) per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità (…)
“Smisurata preghiera”, Fabrizio De André