Sono caduto, non so di dove né come né perché

Il 28 giugno 1867 (150 anni fa) inizia “l’involontario soggiorno sulla Terra” di Luigi Pirandello. Lo scrittore nasce in una villa di campagna chiamata “Il Caos”, presso Girgenti (dal 1927 Agrigento), dove la sua famiglia si era rifugiata per sfuggire ad un’epidemia di colera.

L’unico libro delle scuole medie che ancora conservo è una raccolta di Novelle (1993) dello scrittore siciliano e che usammo in italiano come testo di lettura per italiano. La scuola era l'”Ignazio Silone” di Serpentara a Roma. Ancora non ero un appassionato lettore, ma avevo strappato una pagina, dove ci sono per l’appunto i frammenti di Sono caduto, non so di dove né come né perché e di Mie ultime volontà da rispettare, in cui con poche parole, mi ritrovavo perfettamente nel senso di estraneità e non comprensione del mondo. La mia personale scoperta di Pirandello e del grande dramma della vita è partita anche da lì. Ne ripropongo la lettura.

Sono caduto, non so di dove né come né perché

Si tratta del secondo di due foglietti di appunti che, unitamente a un frammento di esordio in due diverse stesure, Pirandello stese per uno scritto che avrebbe dovuto intitolarsi: Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla Terra. L’indubbia suggestione dello scritto è proprio nella sua frammentarietà, quasi si trattasse di una serie di “associazioni libere”, che rimandano ai temi e alle ossessioni dell’interiorità pirandelliana.

Sono caduto, non so di dove né come né perché, caduto un giorno (ma che è il tempo, e perché non prima e non dopo?) caduto in un’arida campagna di secolari [centenarii]* olivi saraceni, di mandorli e di viti affacciato sotto l’ondata azzurra del cielo, sul nero mare africano. Chi mi raccolse dappiè d’un piano e mi chiamò subito figlio, certo credendo che avevo bisogno di lei per nascere (bisogno che tutti hanno, che tutti sanno, ma che nessuno può intendere) – Ciascuno nasce a se stesso, senza saper come.
genitori
paura
bestie, non le ho mai capite.
imparare a far come loro, senza capire cioè essi mostrano di capir bene. L’altalena, che volate! A cader male…
le donne, loro sì sicure
La dolcezza della loro carne
come il profumo dei fiori e la bellezza di certi colori
Le cose che si fanno; anch’io le ho fatte, ma veramente non ne so il perché
c’è bisogno di tutte queste cose?
La serietà mi è parsa sempre una cosa molto ridicola
Vorrebbe farmi paura.
Anche la morte, Dio.
Ma confesso che non me ne fa, non riesce a farmene.
Pare impossibile. Sono qua ancora. Parlo. Sono vestito. Ma sono molto più contento quando mi chiudo nel sonno e forse allora vado a raggiungere la mia vera patria. Ma i miei sogni sono oscuri. So che
Riaprendo gli occhi, la prima impressione è di non raccapezzarmi ancora, di non poterci far l’abitudine
Non so ancora dove sono, perché vi sono.
La vita è una cosa veramente curiosa.

[Corsivo nel testo mio, da Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla Terra, in Saggi, poesie, scritti varii, 1977, p. 1104]

* Nell’originale la parola centenarii è sovrapposta alla parola secolari.

Mie ultime volontà da rispettare

Stese fin dal 1911, le disposizioni testamentarie di Pirandello furono lette il 10 dicembre 1936, giorno della sua morte. L’urna contenente le ceneri dello scrittore fu sepolta, venticinque anni dopo, accanto alla casa del Caos dove Luigi Pirandello era nato.

I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera, non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzii né partecipazioni.

II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso.

III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta.

IV. Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna ceneraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui.

[in Saggi, poesie, scritti varii, 1977, p. 1289]

Casa

La scorsa puntata di Petrolio dal titolo Che tempo fa affronta i temi dei cambiamenti climatici mostrando parti del documentario di Leonardo Di Caprio Before the Flood e intervistando vari esperti italiani presenti in studio.

La presentazione ci dice che: Già all’inizio di questa estate siccità, erosione costiera, fenomeni estremi come incendi e inondazioni, hanno riempito le pagine dei giornali. Una situazione drammatica che stiamo già pagando a caro prezzo. Riusciremo a uscire da questa situazione? Riusciremo a consegnare ai nostri figli un mondo ancora vivibile senza doverci vergognare per quello che stiamo facendo?

#stefanobosso ph. dryness

#stefanobosso ph.


Guardando la trasmissione mi è tornato in mente Home (2009), un documentario molto suggestivo su ambiente e cambiamento climatico di Yann Arthus-Bertrand, e prodotto da Luc Besson. Concepito come un reportage di viaggio, è realizzato quasi interamente con immagini aeree. Lo ripropongo, suggerendone la visione.

(..) “Nella grande avventura della vita sulla terra, ogni specie ha il suo ruolo, ogni specie ha il suo posto. Nessuna è inutile o dannosa. Tutte contribuiscono all’equilibrio. È allora che tu homo sapiens, uomo pensante entri in scena. Raccogli i benefici della meravigliosa eredità di 4 miliardi di vita della terra. Hai soltanto 200 mila anni, ma hai cambiato la faccia del mondo. Malgrado tu sia vulnerabile hai preso possesso di ogni habitat e conquistato interi territori come nessuna specie aveva mai fatto. Dopo 180 mila anni di nomadismo, grazie ad un clima più clemente, l’uomo si ferma. Non dipende solo dalla caccia per sopravvivere, cerca di stabilirsi in zone umide che abbondano di pesce, selvaggina e piante selvatiche, luoghi in cui la terra, l’acqua e la vita si armonizzano.” (..)

(..) “Abbiamo provocato fenomeni che non possiamo controllare. Fin dalle nostre origini, acqua, aria e forme di vita erano intimamente collegate, ma di recente abbiamo spezzato questi legami. Affrontiamo la realtà, dobbiamo credere a quello che sappiamo. Quello che abbiamo appena visto è il riflesso del comportamento umano. Abbiamo plasmato la Terra a nostra immagine. Ci resta poco tempo per cambiare. Come farà questo secolo a portare il peso di 9 miliardi di esseri umani se ci rifiutiamo di fare i conti con tutto quello che solo noi abbiamo fatto?”

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La caduta

La caduta (1956) di Albert Camus è la storia di Clemence, un brillante avvocato parigino, che dopo aver abbandonato improvvisamente la sua carriera si ritira ad Amsterdam dove conduce una vita da recluso. Presa coscienza dell’insincerità e della doppiezza che finora aveva caratterizzato la sua vita, Clemence decide di redimersi confessando e incitando gli occasionali avventori di una taverna portuale a confessare a loro volta “la cattiva coscienza”.

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#stefanobosso ph. tel aviv, 2014


Di seguito pubblico alcuni estratti del libro edito dalla Bompiani (1958) nella traduzione di Sergio Morando.

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(..) Cercavo di scuotermi, certo. Che importanza aveva la menzogna di un uomo nella storia delle generazioni, e che pretesa quella di voler portare alla luce del vero un misero inganno perduto nell’oceano degli anni come il granello di sale nel mare! Tra me e me dicevo anche che la morte del corpo, a giudicare da quelle che avevo visto, era in sé una punizione sufficiente, assolveva di tutto, Si acquistava la salvezza (cioè il diritto di sparire definitivamente) col sudore dell’agonia. E tuttavia, il malessere aumentava, la morte rimaneva al mio capezzale, mi alzavo in sua compagnia e i complimenti mi diventavano sempre più insopportabili. Mi pareva che la menzogna crescesse di pari passo, così smisurata che mai più avrei potuto mettermi in regola.

Venne un giorno in cui non resistetti più. La prima reazione fu sfrenata. Ero bugiardo, e l’avrei dichiarato buttando la mia doppiezza in faccia a tutti quegli imbecilli ancor prima che la scoprissero. Provocato a dire la verità avrei risposto alla sfida. Per prevenire il riso, pensai dunque di incorrere nella derisione generale. Insomma, ancora una volta, si trattava di evitare il giudizio. Avrei voluto giocare d’ironia. Meditavo per esempio di urtare i ciechi per strada e, dalla gioia vaga ed imprevista che provavo, scoprivo fino a che punto una parte della mia anima li detestasse; divisavo di bucare le gomme delle carrozzelle degli invalidi, di andare ad urlare “brutto povero” sotto le impalcature dove lavoravano gli operai, di schiaffeggiare dei lattanti nella metropolitana. Architettavo tutte quelle cose, ma non ne ho fatto niente, o, se ho fatto qualcosa di simile, l’ho dimenticato.

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Il discorso ai giovani di Gordon Gekko

A seguito dell’articolo Are Students a Class? – tradotto da Voci dall’Estero – nel quale si parla della condizione giovanile americana, a cui similmente seguirà quella delle prossime generazioni nostrane, mi è tornato in mente un pezzo del film Wall Street – Il denaro non dorme mai in cui Gordon Gekko, invitato a tenere un discorso in una prestigiosa università, mette in guardia i giovani studenti dal futuro che li aspetta.

L’articolo riprende il termineNINJA Generation” usato proprio da Gekko nel film in lingua originale per descrivere la condizione dell’ultima generazione “nella cacca sino alle orecchie”: quella del No Income, No Jobs, No Assets, (nel film in italiano tradotto “la generazione dei 3 Niente”).

Il film di Oliver Stone ci aveva quindi avvisati anzitempo ed oggi come descrive l’articolo in USA: “(..) Gli studenti sono i nuovi NINJA (No Income, No Jobs, No Assets): nessun reddito, nessun lavoro, nessun patrimonio. Ma i loro genitori hanno dei beni, e sono questi ora ad essere portati via, anche i beni dei pensionati. Prima di tutto, il governo ha risorse – il potere di tassare (soprattutto i lavoratori, di questi tempi) e anche qualcosa di  meglio: il potere di  semplicemente stampare moneta (principalmente oggi il Quantitative Easing per cercare di reflazionare i prezzi delle abitazioni, delle azioni e dei titoli). La maggior parte degli studenti spera di diventare indipendente dai propri genitori. Ma, gravati dal debito e dovendo affrontare un mercato del lavoro difficile, vengono lasciati ancor più in condizioni di dipendenza. Ecco perché tanti devono continuare a vivere a casa dei genitori.

Il problema è che, anche se ottengono un lavoro e diventano indipendenti, restano dipendenti dalle banche. E per pagare le banche, devono essere ancor più miserevolmente alle dipendenze dei loro datori di lavoro. (..)”

Il finale del film prova a riabilitare la figura di Gordon Gekko, lasciandoci un bagliore di speranza. Ma sarà davvero così?

Qui l’intero discorso ai giovani di Gordon Gekko

Dell’amare il prossimo nei fratelli Karamazov

Di seguito pubblico un estratto del capitolo IV Ribellione (libro V) de I fratelli Karamazov di Fëdor Michajlovic Dostoevskij, (Garzanti editore) in cui viene affrontato il tema dell’amore per il prossimo.

i fratelli karamazov garzanti

“Devo farti una confessione”, esordì Ivan, “non ho mai potuto capire come si possa amare il prossimo. Secondo me, è impossibile amare proprio quelli che ti stanno vicino, mentre si potrebbe amare chi ci sta lontano. Una volta ho letto da qualche parte la storia di “Giovanni il misericordioso”, un santo: un viandante affamato e infreddolito andò da lui e gli chiese di riscaldarlo e quello lo fece coricare nel letto insieme a lui, lo abbracciò e prese a soffiargli nella bocca, putrida e puzzolente a causa di una terribile malattia. Io sono convinto che egli lo facesse per una lacerazione piena di falsità, per il dovere di amare che gli era stato imposto, per una penitenza che si era inflitto. Perché si possa amare una persona, è necessario che essa si celi alla vista, perché non appena essa mostrerà il suo viso, l’amore verrà meno”.

“Più di una volta, lo starec Zosima ha parlato di questo”, osservò Alëša; “ha anche detto che spesso il viso di un uomo, per chi è inesperto in amore, diventa un ostacolo per l’amore. Tuttavia, c’è anche molto amore nell’umanità, amore quasi comparabile a quello di Cristo, questo l’ho visto io stesso, Ivan…”

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Generazioni che collaborano

L’ultimo quaderno di Weconomy dal titolo Quid novi? Generazioni che collaborano esplora la questione generazionale seguendo due dimensioni: Generazioni e Collaborazioni.

weconomy generazioni che collaborano

Nella presentazione, secondo Cristina Favini “(..) Ognuno di noi porta tatuata la propria generazione sulla pelle e vede le altre per differenza, spesso appiattendo le sfumature, mettendo in risalto solo le luci o le ombre. La realtà è molto più ricca di sfumature. La realtà è molteplice, è un multiverso. Provare a comprendere le generazioni è un ottimo punto di partenza che ci aiuterà a capire meglio il nostro collega e i nostri figli, ma non è sufficiente. Unica “chance” è assicurarci di abilitare ambienti, spazi, tempi e appuntamenti in cui la biodiversità generazionale è assicurata, in cui facciamo accadere la collaborazione tra generazioni. Modalità in cui ogni persona con il proprio vissuto, con il proprio marchio di fabbrica, partecipi, solo così eviteremo la scelta dell’unico punto di vista che, proprio perché è unico, esclude e non valorizza la bellezza della realtà. Quindi basta interfacce progettate da giovanissimi per giovanissimi, basta board aziendali di top manager non aperti al confronto con altre generazioni. Le Imprese possono invecchiare, ma possono anche ringiovanire con il giusto mix e la giusta guida.
Aumentiamo la biodiversità per mettere in campo nuove specie di generazioni. Più che mai è necessario trovare un equilibrio transgenerazionale che non sia solo pacifico ma anche fecondo. (..)”

Di seguito pubblico le due Wiki che introducono brevemente i due concetti principali del quaderno.

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Il discorso di D’Annunzio a Quarto

Di seguito pubblico la parte finale dell’orazione di Gabriele D’Annunzio tenuta il 5 maggio 2015 a Quarto, in occasione delle celebrazioni per l’inaugurazione del monumento dei Mille.

d'annunzio a quarto

(..) Italiani d’ogni generazione e d’ogni confessione, nati dell’unica madre, gente nostra, sangue nostro, fratelli; (..)
O beati quelli che più hanno, perché più potranno dare, più potranno ardere.
Beati quelli che hanno venti anni, una mente casta, un corpo temprato, una madre animosa.
Beati quelli che, aspettando e confidando, non dissiparono la loro forza, ma la custodirono nella disciplina del guerriero.
Beati quelli che disdegnarono gli amori sterili per essere vergini a questo primo e ultimo amore.
Beati quelli che, avendo nel petto un odio radicato, se lo strapperanno con le lor proprie mani; e poi offriranno la loro offerta.
Beati quelli che, avendo ieri gridato contro l’evento, accetteranno in silenzio l’alta necessità e non più vorranno essere gli ultimi ma i primi.
Beati i giovani che sono affamati e assetati di gloria, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché avranno da tergere un sangue splendente, da bendare un raggiante dolore.
Beati i puri di cuore, beati i ritornanti con le vittorie, perché vedranno il viso novello di Roma, la fronte ricoronata di Dante, la bellezza trionfale d’Italia

qui il discorso intero